di Roberto Malini
Genova, 14 agosto 2017. Rovistando in un cassetto alla ricerca di un documento, stamattina mi sono ritrovato sotto gli occhi le fotografie di alcune opere che fanno parte della raccolta d’arte dell’Olocausto, da me donate al Museo Nazionale della Shoah di Roma. Fra di esse, le litografie di Anatoli Lvovich Kaplan, struggente cantore della memoria yiddish. Nato a Rogachev, in Bielorussia, Il 26 dicembre 1902, Kaplan studiò all’Accademia delle Arti di Leningrado dal 1921 al 1926. La vita degli ebrei negli shtetl (i villaggi ebraici dell’est europeo), la preghiera nelle sinagoghe e la quotidianità nelle case, caratterizzata dalle antiche tradizioni yiddish, sono i soggetti della sua pittura e della sua grafica d’arte, che contempla soprattutto litografie. Nel 1939 è diventato membro dell’Unione degli Artisti. Ha esposto in collettive nel suo paese e in qualche personale in Occidente: Vienna nel 1966, Lipsia nel 1971, New York nel 1991. La sua arte ricorda con nostalgia e sentimento un mondo perduto: la vita semplice e profondamente religiosa negli shtetl, la cultura yiddish, la poesia dell’ebraismo in Europa prima dell’Olocausto. È morto a S. Pietroburgo nel 1980.