di Roberto Malini
Il 20 febbraio 1882 è nato a Varsavia lo scultore Elie Nadelman. Di famiglia ebraica, ha seguito fin da giovanissimo la sua indole indipendente e ha lasciato casa a diciannove anni. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti della sua città natale, ha trascorso sei mesi a Berlino, dove ha studiato la collezione d’arte locale. Si è avvicinato alla scultura con estrema libertà, ma il suo modello è stato fin dall’inizio Auguste Rodin. Nadelmann amava profondamente anche la scultura antica e nella sua opera giovanile si ritrovano i suoi studi e le sue analisi, riassunte in una serie di disegni pubblicati nel 1914 con il titolo “Verso un’unità della scultura”. Le sue prime mostre personali, fra cui quella di Parigi nel 1909, hanno ottenuto un enorme successo e l’artista si è visto patrocinare dal critico d’arte Leo Stein e dalla donna d’affari Helena Rubinstein. Quando l’Europa è entrata in guerra, si è trasferito negli Stati Uniti, a New York, dove è diventato celebre per le sue sculture, cariche di poetica ironia: soprattutto la serie dei “Manichini”, ispirata alla collezione di bambole che aveva ammirato al Museo Nazionale di Monaco di Baviera. Nel 1919 ha sposato Viola Spiess Flannery e con lei, che era un’appassionata d’arte, ha fondato il Museo d’Arte Popolare e Contadina di Riverdale, New York. Nella grande depressione è stato costretto a chiudere il museo e il successo l’ha abbandonato. Si è chiuso in se stesso e il 28 dicembre 1946 si è tolto la vita a Riverdale, New York. Dopo il suo tragico gesto, sono state ritrovate nel suo appartamento centinaia di piccole sculture a colori raffiguranti giovani donne, accolte con grande entusiasmo dalla critica e al centro di una serie di mostre di notevole successo. Elie Nadelman ha avuto un’importante influenza sulle nuove generazioni di scultori americani.