di Roberto Malini
Prima del canto, della poesia, dell’arte, c’era la Scrittura Bianca. Il pittore statunitense Mark George Tobey (Centerville, 11 dicembre 1890 – Basilea, 24 aprile 1976) la restituì al mondo proprio quando il mondo stava per cadere in una dimensione di insondabile oscurità, con una serie di celebri opere che non sono arte, non sono iscrizione, non sono spartito. Eppure sono bellezza incontaminata, poesia dell’essenza, senza prima né dopo, musica trascendentale. Tobey è considerato un precursore dell’espressionismo astratto, anche se – ovviamente – non si è mai riconosciuto in tale movimento. Alla ricerca, fin da giovanissimo, di una filosofia spirituale in cui riconoscersi, l’ha infine trovata nella comunità Baha’i. Affascinato dalle culture orientali, ha rivolto la sua ispirazione artistica verso le filosofie e le forme di espressione originarie dell’Asia. Nel 1934 ha viaggiato in Cina e Giappone, rimanendo fortemente influenzato dall’arte calligrafica. Tornato negli Stati Uniti, ha iniziato a dedicarsi alla White Writing (scrittura bianca), una rivisitazione astratta delle antiche calligrafie. Ha anticipato – ma lui non era d’accordo, assolutamente no, con chi lo affermava – alcune forme di Action painting, fra cui il celebre “dripping” di Jackson Pollock. È morto a Basilea il 24 aprile 1976.