È uscita la raccolta di poesie di Angelo Pini Pelle di paura. Ne ho lette alcune, che mi sono piaciute molto. Sono versi non comuni di cui si può scrivere solo usando parole non comuni. È il lavoro di un poeta che ha piedi, mani e cervello di poeta. Pelle e paura di poeta. Nella mia percezione, la produzione attuale di Angelo Pini ha una natura metaconcettuale e sembra sgorgare da bocche di carne e pietra, mitologiche e confessionali nello stesso istante, non spalancate, ma socchiuse. Come spiragli da cui traspaiono in un’aura onirica un po’ della vita, un po’ dello scontento, un po’ dei lucidi miraggi dell’autore. Non leggo mai, tuttavia, una prevalenza del dolore in questi versi a cui pare non importare nulla della brevità della vita né della fragilità umana. Sussurrano, urlano, spiegano ali notturne ed emettono le vive secrezioni di una mente e di un cuore. E l’amore – la cui presenza non smette mai di manifestarsi, simile a un vento di polvere e sale – non riesce a mantenere una forma abbastanza definita da permettere a chi ama di sottrarsi alla colpa e all’inquietudine che cavalcano il suo sentire. Pubblico qui una poesia recente di Angelo Pini, che a mio avviso rappresenta bene il lavoro di questo eccellente autore. R.M.
Non sono fatto per scomparire in questa pietra morente
di Angelo Pini
Non sono fatto per scomparire in questa pietra morente
sono di muro crudo, emano urlo che sgretola porte chiuse
come sabbia è amore perverso.
Il mattone stupefatto di odio spaccia a buon mercato sogni,
doloroso assistere mentre le vene del cervello
inondate da una trasfusione di speranza
splendono fra cocci rotti.
Bevo spettanti avanzi del mondo, rientro pietra vivente,
smarrito fra umani faccio la coda perduta, in pareti di spine,
ricompaio stanco e sottile, ripeto non esisto
esiste il corpo che va da sé.
Sono da un’altra parte, a salve la mente,
annunciano l’addio i fuochi d’artificio
figure amiche vagano, disegnando nel cielo
una mappa per la verità del corpo antieroico
si alzano in volo frecce naufraghe
un turbante azzurro emerge dall’abisso.
Dipinto di Francis Bacon, “Senza titolo” (1952).