di Nicolò Scialfa
Alla fine Sisifo morì ma quando fu al cospetto di Ade, si lamentò del fatto che la moglie non l’avesse onorato come si conveniva e si era dimostrata molto egoista e cattiva da non seppellirlo e dedicargli le dovute onoranze funebri (cosa suggerita dallo stesso Sisifo alla moglie prima di morire). In questo modo lui avrebbe vagato in eterno lungo le rive dello Stige senza poter passare oltre. Ade però non voleva sentire storie al contrario di Persefone, ai cui piedi Sisifo si era gettato, supplicandola di rimandarlo sulla terra per tre giorni, in modo da organizzare la sua morte come si conveniva a un re. Persefone si commosse e concesse a Sisifo di tornare in vita per altri tre giorni.
Sisifo, una volta arrivato a Corinto, ovviamente ignorò la promessa fatta a Persefone tanto che dovette intervenire nuovamente Ade per riportarlo nell’oltretomba con la forza.
La punizione che Ade scelse per Sisifo fu esemplare: fu condannato a trascinare un enorme masso lungo un ripido pendio di una collina per farlo rotolare dall’altra parte ma, una volta giunto in prossimità della cima, il masso, come spinto da una forza divina, rotolava nuovamente a valle e Sisifo doveva ricominciare da capo, con il sudore che gli bagnava la fronte mentre nuvole di polvere lo circondavano. E questo per l’eternità.” Questa punizione nota come “la fatica di Sisifo” è rimasta nei detti popolari a indicare un lavoro inutile, un lavoro che comporta una grande fatica con pochi risultati.
Narra Omero nell’Odissea XI, 746-758, traduzione Pindemonte:
Sisifo altrove smisurato masso
Tra l’una e l’altra mano portava, e doglia
Pungealo inenarrabile. Costui,
La gran pietra alla cima alta d’un monte,
Urtando con le man, coi pié puntando,
Spingea: ma giunto in sul ciglion non era,
Che risospinta da un poter supremo
Rotolavasi rapida pel chino
Sino alla valle la pesante massa.
Ei nuovamente di tutta sua forza
Su la cacciava: dalle membra a gronde
Il sudore colavagli, e perenne
Dal capo gli salia di polve un nembo.
Si narra che Merope, la moglie di Sisifo, per la vergogna di essere l’unica pleiade con un marito nell’oltretomba e per giunta criminale, abbandonò le sorelle in cielo e per questa ragione si crede che Merope brilli in cielo molto meno delle altre stelle che formano l’ammasso stellare delle Pleiadi.
Il mito di Sisifo. Saggio sull’assurdo (Le mythe de Sisyphe. Essai sur l’absurde) è un saggio pubblicato da Albert Camus nel 1942 con Gallimard.
«Se vi è un destino personale, non esiste un fato superiore o, almeno, ve n’è soltanto uno, che l’uomo giudica fatale e disprezzabile. Per il resto, egli sa di essere il padrone dei propri giorni. In questo sottile momento, in cui l’uomo ritorna verso la propria vita, nuovo Sisifo che torna al suo macigno, nella graduale e lenta discesa, contempla la serie di azioni senza legame, che sono divenute il suo destino, da lui stesso creato, riunito sotto lo sguardo della memoria e presto suggellato dalla morte. Così, persuaso dell’origine esclusivamente umana di tutto ciò che è umano, cieco che desidera vedere e che sa che la notte non ha fine, egli è sempre in cammino. Il macigno rotola ancora. Lascio Sisifo ai piedi della montagna! Si ritrova sempre il proprio fardello. Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch’egli giudica che tutto sia bene. Questo universo, ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice.»
(Albert Camus, Il mito di Sisifo in Opere. Milano, Bompiani, 2003, pp. 318-9)
L’esistenza è assurda e senza alcun significato, non esiste trascendenza. Occorre sopportare la nostra esistenza e ottenere così la libertà. Ribellione contro l’assurdità della vita e felicità che deriva dalla consapevolezza dei nostri limiti umani. Heiddegger, Jaspers, Sestov, Kierkegaard, Husserl riferimenti obbligati… Dostoevskij su tutti, Kafka e il Processo, teatro di Molière, Balzac e Shakespeare… La grande letteratura è la vera filosofia. Camus giunge alla conclusione che
“Non c’è amore del vivere senza disperazione di vivere” e la nostra libertà consiste nell’esplorazione di ogni possibilità esistenziale. “Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto – se il mondo abbia tre dimensioni o se lo spirito abbia nove o dodici categorie – viene dopo”. E questo assurdo dice Camus “non è nell’uomo e neppure nel mondo, ma nella loro comune presenza”, nel fatto che coesistono. Il masso è talmente pesante da portare che gli uomini, disperati, rovesciano il problema e l’assurdo diviene Dio, divinizzano ciò che li schiaccia. Sisifo è un eroe tragico perché accetta spinozianamente di vivere, rifiuta il suicidio, è consapevole dell’assurdità esistenziale ma combatte ugualmente. Qui sta la sua grandezza.
A noi non resta che immaginarci un Sisifo felice nella sua eterna tragedia. Sisifo vuole vivere e… a lungo.