di Roberto Malini
Il 31 dicembre 1881 è nato a Zwickau l’artista tedesco Hermann Max Pechstein. La sua arte presenta i segni, i colori, la grande storia dei popoli d’Africa; è un messaggio che oppone il loro talento e la loro creatività all’ottusa arroganza dei razzisti. Il lavoro di Pechstein risponde ancora oggi all’odio, al livore, al suprematismo di un Trump, di un Salvini, di una Le Pen o di un Orbàn.
In giovinezza l’artista è stato profondamente influenzato dall’opera di Vincent Van Gogh, di cui ha seguito le orme. Dopo aver studiato alla Scuola d’arte applicata e all’Accademia di Dresda, ha conosciuto Erich Heckel e nel 1906 si è unito al gruppo Die Brücke. Successivamente è stato tra i fondatori della Secessione di Berlino. Ha rivolto grande attenzione a Matisse e ai Fauve, soprattutto per la loro libertà istintuale nell’accostare colori puri. Il suo lavoro non ha mai perso di vista la pittura primitiva e le conquiste dell’arte africana. Fra tutti gli artisti tedeschi, è stato uno dei più disprezzati e umiliati dai nazisti, che nel 1933 l’hanno rimosso dalla docenza all’Accademia di Berlino e hanno escluso dai musei ben trecentoventisei sue opere, esponendone sedici alla famigerata mostra “Entarstete Kunst” (Arte degenerata). Dopo la guerra, nel 1945, ha riavuto la cattedra e ha ottenuto importanti onorificenze per la sua opera. E’ morto a Berlino il 26 giugno 1955.