di Roberto Malini
11 agosto. Nel 1938 a Pesaro esplose l’odio. Un odio apparentemente “gentile”: Hannah Arendt l’avrebbe definito “banale”, come banale è sempre il male. Quel giorno la gente parlava del censimento imminente, il censimento degli ebrei. Già, Pesaro si accorgeva di avere degli ebrei e scopriva che essere ebrei non era certo una fortuna, di quei tempi. Pochi giorni prima, il 6 agosto, la prefettura di Pesaro aveva aperto un fascicolo sulla necessità di accertamenti sulle proprietà ebraiche mobili e immobili. Il 10 agosto le autorità iniziarono a coordinare un’indagine per determinare i beni posseduti dai cittadini ebrei. L’indagine si proponeva di evitare che gli ebrei di Pesaro vendessero immobili, titoli, gioielli in vista delle leggi razziali che di lì a poco sarebbero entrate in vigore. Per mettere al sicuro le loro risorse o per fuggire all’estero. In quei giorni l’intolleranza strisciante divenne una vera caccia all’uomo e i 55 ebrei di Pesaro furono disumanizzati e destinati all’annientamento. Nessuno sapeva esattamente perché (gli ebrei avevano una testa, due gambe e due braccia come gli altri cittadini, avevano famiglie, bambini, un lavoro, come gli altri cittadini… eppure adesso bisognava odiarli). Sappiamo bene cosa accadde successivamente. Qualcuno, grazie al matrimonio con un cristiano o agli aiuti di un amico influente, si sottrasse alla persecuzione, rinunciando a vivere l’ebraismo, se non come fede intima, clandestina. È il caso della grande pittrice e ceramista Wanda Coen, cui Pesaro dedicherà, durante il prossimo Giorno della Memoria, una targa presso la casa dove nacque e visse la prima giovinezza. La sua famiglia, tuttavia, subì deportazioni e uccisioni nei campi di morte nazisti. Altri fuggirono, entrarono in clandestinità o nelle formazioni partigiane. Altri ancora subirono l’impatto delle leggi razziali o furono assassinati nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau, come il povero Cesare Fiorentino.
L’11 agosto del 1938 a Pesaro si parlava della recente visita del führer in Italia (un uomo forte, che molti ammiravano quasi quanto il duce), ma soprattutto della vittoria della nazionale di calcio di Vittorio Pozzo ai Mondiali, del 4 a 2 di Parigi contro l’Ungheria. Intanto si diffondeva l’odio. Era dappertutto, anche se non si vedeva chiaramente. Era nel sorriso della gente, nei giochi dei ragazzini, nelle giornate balneari sotto un sole caldo, ma mitigato dalla piacevolezza del maestrale.
Ricordiamo quei giorni, che portarono ingiustizia, prevaricazione, dolore e morte. Ma soprattutto, usciamo dall’egocentrismo e dalla concentrazione su cellulari e computer, per tornare a guardare cosa accade intorno a noi con occhi di civiltà, riscuotendoci da quell’indifferenza che è sorella dell’odio e da cui testimoni come Liliana Segre ci mettono in guardia da tanti anni. Accorgiamoci dei nuovi “ebrei”, che sono i migranti, le persone Lgbt+, i senzatetto. Stringiamo gli occhi, sotto questo sole luminoso – mitigato ancora dal maestrale – e vedremo sui loro petti una stella gialla che risulta invisibile quando siamo indifferenti. Ci sarà impossibile non constatare che a Pesaro, come in tante altre città, si odia ancora ed è lo stesso odio di allora: un odio “gentile”, pacato, sorridente, forse banale.