17 novembre, Giornata Internazionale degli Studenti. L’occasione ideale per dare spazio alla riflessione di Aurora De Silva, studentessa di seconda Liceo. Partendo da uno degli epitaffi più noti contenuti nell’Antologia dI Spoon River di Edgar Lee Masters e dopo un confronto con il testo rivisitato da Fabrizio De André, che ha conosciuto l’Antologia grazie alla traduzione di Fernanda Pivano, Aurora ci parla del ruolo dell’artista nella società. Originale l’interpretazione del finale che, del resto, è suscettibile di diverse letture.
Jones suona il violino
di Aurora De Silva
Jones suona il violino, lo fa per tutti quelli che glielo chiedono perché “se la gente sa che sei suonare, suonare ti tocca per tutta la vita”. Lui suona alle feste per gli amici e per le ragazze che ballano con le gonne svolazzanti, ma soprattutto suona per se stesso perché i suoni del mondo fanno nascere in lui vibrazioni che diventano musica. Jones non ha il tempo per preoccuparsi dei campi da coltivare, non vuole diventare ricco né distruggersi la schiena con l’aratro, lui insegue la sua arte: è libero e prigioniero allo stesso tempo.
Nel testo di De Andrè la libertà viene nominata prima dormiente nei campi coltivati a “denaro” protetta dal filo spinato e succube del lavoro, poi sveglia a danzare con le ragazze in una società che pensa solo al guadagno e abbandona i sogni. Smette di sentire i suoni della terra e viene imprigionata in un meccanismo che distrugge l’arte e la creatività; così dove tutti vedono la siccità, quindi i problemi economici, in un vortice di polvere lui vede la gonna di Jenny (De Andrè) o Sammy Testa Rossa che balla (Edgar Lee Masters).
Jones lascia che le ortiche invadono i suoi campi e suona così tanto da spezzare il suo flauto (De Andrè) – il violino per Lee Masters – come si spezza la sua vita che ha fatto il suo corso. La vecchiaia se l’è portato via e di lui restano tanti bei ricordi, le risate rauche e nessun rimpianto.
Dipinto digitale di R. Malini