Ecco il testo di Giulia Bonelli, 14 anni, studentessa presso il Liceo delle Scienze Umane Piero Gobetti di Genova. Un punto di vista insolito, quello di un albero, per raccontare la vita quotidiana di chi vive sotto lo stesso cielo, con le stesse speranze, le stesse ansie, ma una vita unica e diversa da tutte le altre. L’opera d’arte scelta dalla giovane è proprio il Cielo stellato di Vincent Van Gogh.
Gli studenti del Liceo delle Scienze Umane Piero Gobetti di Genova, coordinati dalla docente e scrittrice Daniela Malini, stanno vivendo una nuova esperienza educativa e culturale, in questo periodo di pandemia e insicurezza sociale. Il tema dell’iniziativa è “L’arte risponde”.
“Siamo partiti dall’osservazione di alcune famose opere d’arte,” spiega Daniela Malini”. “I ragazzi si esprimono attraverso una riflessione, un monologo, un commento. Possono descrivere anche il particolare dell’opera scelta, far parlare un fiore. I sentimenti prodotti dalla pandemia che ci circonda e la situazione di isolamento emergono da soli, perché sono ben presenti nella coscienza dei ragazzi. E l’arte, interrogata da ciascuno di loro, come un test proiettivo dai contenuti universali, offre risposte da luoghi che sono quasi sempre meno ansiogeni della nostra attualità”.
I rami e le stelle
di Giulia Bonelli, 14 anni
Opera scelta: Cielo stellato di Vincent Van Gogh
In questo bellissimo paese io sono solo un albero, ma avrei qualcosa da dire su di lui. Io sono su una collina, pertanto vedo e sento tutti. In una tipica giornata, alle prime luci del mattino, vedo i panettieri accendere le luci delle loro case per poi dirigersi, con una camminata lenta e il volto ancora segnato, verso il loro negozio. Pian piano il sole si alza e con lui anche molti abitanti che in fretta vanno al lavoro con le loro automobili, rivolgendo qualche sorriso ai conoscenti, ma per tornare subito dopo alle loro solite facce stanche. Alle sette e mezza impossibile non capire che si alzano i bambini, perché si sentono sempre lamenti o pianti da parte di chi, in cuor suo, voleva rimanere cullato tra le calde lenzuola del proprio lettino; ma neanche il più forte desiderio può vincere su una madre che grida, quindi, chi alle medie, chi all’asilo, è costretto ad alzarsi per poi prendere lo scuolabus. Verso le undici le signore vanno al mercato per comprare e poi aspettano, chiacchierando, l’arrivo dei figli alla fermata del bus. Quando arriva l’ora di pranzo, dalle case si sentono buonissimi profumi, di tutti i tipi, che fanno venire voglia di mangiare anche a me, ma sono un albero, e risulterebbe difficile l’impresa. Dopo pranzo nel paese c’è finalmente un po’ di quiete, fin quando alle quattro i bambini riescono a sfuggire dalla prigionia dei compiti e finalmente escono, gridando, spesso con in mano un pallone nel caso dei maschi, o con delle bambole e vestitini nel caso delle femmine; tra l’altro questo è un paese moderno, e non nego di aver visto qualche bambina giocare a calcio e qualche bimbo pettinare i capelli delle bambole. Nel frattempo le madri approfittano del sole per stendere l’alto cumulo di vestiti, parlando le une con le altre, sempre dei soliti argomenti: pettegolezzi di paese, lamentele su quante cose devono fare o talvolta sui propri mariti: del fatto che nessuno le da mai attenzioni, il tutto condito con una buona dose di grida ai propri figli, perchè hanno fatto qualcosa di sbagliato oppure perchè temono si siano fatti male. Ma a quell’ora non escono solo le donne e i bambini, ma anche gli adolescenti: le ragazze sono sempre vestite bene, truccate (per quanto gli è permesso) e con la loro borsetta, parlano di quanto vorrebbero un ragazzo o di quanto i propri genitori siano noiosi e bigotti; i ragazzi sono vestiti d’estate con una canottiera scollata fino ai fianchi, d’inverno con un maglione e il cappuccio tirato su anche quando c’è il sole, ma, qualsiasi stagione sia, loro portano sempre i pantaloni corti e ancora meglio se sono a vita talmente bassa che gli si vede la scritta dei boxer. Talvolta anche loro hanno un pallone sotto il braccio oppure si siedono su una panchina (seduti sullo schienale coi piedi sul sedile) a guardare le ragazze che passano e commentando. Alle sette e mezza, i padri arrivano dal lavoro, e si sa che una volta che rientrano loro nessuno deve essere fuori casa, quindi, una volta che tutti hanno fatto ritorno si cena insieme mentre il sole cala. E dopo cena di nuovo lamenti dei bimbi costretti ad andare a dormire contro la loro volontà, perché tutti in fondo quando si divertono non vorrebbero che il loro tempo libero finisse, ma alla fine cedono e vanno a letto e si spengono le prime luci delle camerette e altre ancora dei ragazzi, che dopo aver cercato di ripassare per le varie verifiche, vanno a letto e restano poche luci accese, di solito quelle del salotto dove i genitori guardano la tv, ma il sonno arriva per tutti, anche mentre guardano il più interessante dei programmi. Ed è proprio quando anche le ultime luci si spengono, e cala l’assordante silenzio del paese, che mi accorgo di quanto sia bello, di quanto sia magico il cielo, del colore delle stelle, del suono del vento e dei versi dei gufi. Tutto è fermo e mi sembra di sognare, e mi chiedo se gli abitanti del paese riescano o riusciranno mai a cogliere tanta bellezza; ma oggi dopo tanto tempo passato a osservare la gente, capisco che questo non succederà, perché tutti sono presi dalle loro cose, dalla fretta di andare al lavoro o di fare le proprie commissioni, talmente di fretta che passano le loro giornate a guardarsi i piedi, o l’orologio, l’agenda, un computer o i libri di scuola, non guardando quanto il cielo sia affascinante, quanto sia capace di stregarli, quanto possa farli sognare, quanto possa prenderli e racchiuderli in se stesso senza lasciarli mai andare.