La giovanissima Giorgia Castellano riflette sul significato del termine “indifferenza” e sulla natura di questo non-sentimento. Ne analizza le origini antiche, per tracciare un parallelo fra chi perpetra il male e chi vi assiste senza opporvisi. Quali sono le colpe dell’indifferente e quale responsabilità ha, nella storia dei popoli, l’atteggiamento di chi non assume una posizione, non si indigna di fronte agli abusi e finisce per tollerare l’annientamento dei diritti umani? Bisogna avere il coraggio di cambiare, in questa società frenetica, che sostituisce le comodità ai valori. E tutto può iniziare dal semplice esercizio di “una parola gentile verso il prossimo”.
“Dopo aver lavorato sui documenti originali del processo Eichmann e dopo aver letto e analizzato le parole di Primo Levi, Liana Millu e Liliana Segre,” spiega la docente Daniela Malini, che sta curando l’iniziativa, “alcuni studenti si sono confrontati anche su un testo di Antonio Gramsci tratto dal libro Odio gli indifferenti. È stato chiesto loro di esprimersi su questo tema così centrale, oggi come in passato”.
Le responsabilità di chi non sceglie
di Giorgia Castellano, I Liceo delle Scienze Umane Piero Gobetti, Genova
Sentiamo parlare spesso di indifferenza e forse non ne comprendiamo appieno il significato. Indifferenza, dal latino indifferentia, derivato di indifferens, “indifferente”, può essere intesa come una mancanza di interesse verso qualcosa o qualcuno, oppure un comportamento di rinuncia di fronte a una o più possibilità di scelta. Se riflettiamo su questa parola e il suo significato, ci rendiamo conto che, troppo spesso, siamo vittime e carnefici perché, per esempio, tutte le volte che non prendiamo parte a una discussione o ne veniamo esclusi a priori, o non prestiamo attenzione a qualcosa o a qualcuno che ci chiede aiuto, commettiamo un’ingiustizia o ne rimaniamo vittime. La nostra società adesso così frenetica, non lascia spazio ai valori più semplici, a una parola gentile verso il prossimo, a un aiuto verso i più deboli. Mi pare che debba succedere sempre qualcosa di grave per superare l’indifferenza e attivare la solidarietà; a questo proposito mi vengono in mente le calamità naturali, come i terremoti, o, in tempi più recenti e più vicini a noi, il crollo del Ponte Morandi. Queste tragedie scuotono l’opinione pubblica e, per assurdo, rendono le persone più vicine, scatta il senso civico per cui se ho qualcosa cerco di condividerlo con chi ha perso tutto, ma soprattutto dono un aiuto morale, un sentimento. La società sarebbe molto più umana se riuscissimo a condividere, aiutare o essere aiutati sempre, senza bisogno di tragedie. E questo, inevitabilmente, mi porta a pensare al passato, alla metà del secolo scorso, e mi chiedo perché l’uomo, la società di quel tempo, sia stato così indifferente da permettere una tragedia come la Shoah e, allo stesso tempo, altri abbiano rinunciato all’indifferenza, rischiando la propria vita e quella della propria famiglia, per cercare di porvi fine. Si può parlare di malvagità, cattiveria gratuita, crimine morale contro l’umanità, ma sicuramente ciò che ha portato al genocidio degli Ebrei è stata proprio l’indifferenza degli altri popoli, Stati, persone che non hanno preso una decisione… ovvero la decisione di opporsi. Per questo, a mio parere, il Giorno della Memoria è importante perché bisogna sempre ricordare a cosa ha portato l’indifferenza dei popoli, a cosa potrà portare se ognuno di noi non si sofferma un poco sul significato di questa parola.