di Roberto Malini
Negli Stati Uniti le minoranze etniche cercano solo di essere tutelate nei loro diritti fondamentali e rispettate. Eppure vi è chi interpreta nelle istanze dei movimenti antirazzisti come Black Lives Matter una sorta di “suprematismo nero” di stampo marxista. E non parlo di complottisti o di persone di estrema destra, ma di intellettuali, di gente di ottima cultura. Oggi, su questo argomento, mi sono imbattuto, su una pagina Facebook, in commenti come il seguente: “Quali diritti vorrebbero ancora i neri degli Stati Uniti d’America, un paese dove un nero è stato eletto per ben due volte presidente della repubblica e vi sono neri che hanno posizioni di magistrati, alte cariche dello stato e delle forze armate, giornalisti e scienziati? Vogliamo mostrarci proni per paura di una loro riscossa? No, non abbiamo nulla di cui scusarci e mettere sotto processo la cultura bianca è razzismo come quello che i neri hanno subito in passato. Razzismo contro i bianchi, contro Colombo, Lincoln o Washington. Chi non si inginocchia e non solleva il pugno, viene inserito in una lista di proscrizione e sembra che essere bianchi sia di per sé un delitto”.
Il commento era accompagnato da altri commenti, tutti sullo stesso tono, alcuni dei quali citavano posizioni estremiste da parte dell’attivismo e della cultura afroamericani. Ho risposto che chi commette abusi o inneggia a disvalori è il solo responsabile delle sue azioni, che non possono essere attribuite a un intero gruppo sociale. Il vero problema è quello che segnala anche la Anti-Defamation League ovvero la “White suprematist propaganda”. Capovolgere i termini del problema e parlare di “razzismo contro i bianchi” è un atteggiamento spesso dettato dalla paura, ma è sempre una falsa ideologia. Qualcuno ha commentato accusando il Black Lives Matter di fare propaganda estremista e di fare capo a gruppi di sinistra americani assai orientati. Ho risposto che Black Lives Matter non è una formazione politica, ma un esteso movimento di opinione e attivismo, forse il più diffuso negli Usa e sempre più presente nel mondo. L’adesione non ideologica, ma civile e spontanea ne fa il simbolo di chi chiede il rispetto dei diritti degli afro-americani e dei neri nel mondo.
Ho portato come esempio il fatto che l’ideale di BLN è seguito anche fuori dagli Usa e che, per esempio, numerosi profughi africani in Kenya e nelle altre nazioni in cui vi sono i campi di accoglienza più numerosi aderiscono spontaneamente e con entusiasmo al movimento, un po’ come gli ecologisti guardano oggi con simpatia al movimento di Greta Thunberg. BLM è, in sostanza, riconoscersi nei diritti. Ed ecco che mi rispondono che BLN ha due fondatori, che guadagnano un sacco di denaro grazie alle donazioni che vengono erogate alla loro fondazione.
Allora ho risposto che l’artista Patrisse Cullors ha creato la Black Lives Matter Global Network Foundation, registrando la frase che circolava spontaneamente attraverso i social. Come è accaduto per l’espressione, drammatica, “Non riesco a respirare”, in seguito all’assassinio del povero George Floyd. Il movimento internazionale, tuttavia, non dipende in alcun modo dalla Fondazione, ma cresce spontaneamente sull’onda di un’idea di uguaglianza. Se poi, come è successo, vi è chi ha tratto beneficio dal movimento, registrando prima di altri e sfruttando l’espressione “Black Lives Matter”, queste persone hanno commesso un’azione illegale e riprovevole. Tant’è vero che il giudice, a New York, ha bloccato ogni donazione effettuata a favore dell’artista che pretendeva di rappresentare il movimento: artista e movimento sono dunque, legalmente e civilmente, due entità disgiunte. Anche le “scarpe rosse” che rappresentano nel mondo il femminicidio e la necessità di tutelare le donne dalla violenza, nascono dall’idea di un’artista, la messicana Elina Chauvet. Tuttavia, il simbolo si è affermato grazie a un movimento di attivismo spontaneo, che sostiene nel mondo i diritti delle donne. E, come per il BLM, anche il movimento delle “scarpe rosse” è un’entità disgiunta dalla persona della Chauvet.
La nostra società tende a vedere complotti dietro ogni fenomeno e questo è spia di come poco si fidino le persone delle istituzioni, della ricerca scientifica, delle tecnologie, del flusso stesso delle idee attraverso social e tam-tam vari. Riguardo ai movimenti di attivismo, hanno una diffusione spontanea che li arricchisce proprio nella loro espansione, quasi fossero entità organiche. Non possiamo sapere quale sarà il loro sviluppo in un intervallo ampio di tempo. Da parte mia, spero prevalga l’aspetto pacifico, antirazzista e civile.
Nel dibattito social vi è stato poi chi ha rammentato che vi sono stati genocidi anche in Africa, fra popolazioni nere. Ho commentato che è sempre positivo ricordare, perché l’odio è uno come una è l’umanità. E ho citato alcune parole che mi disse Mirjam Waterman-Pinkhof, testimone della Shoah e mia indimenticata amica, una donna straordinaria che salvò decine di bimbi ebrei nei Paesi Bassi, con il Gruppo di Westerweel. Mirjam era assolutamente convinta della necessità di una società civile capace di manifestarsi con energia “quando si afferma il pensiero che alcune vite umane contino più di altre”. BLN è presente, con i suoi errori e la sua ansia di diritti e uguaglianza. Altri gruppi, altri esseri umani sono presenti, perché ogni persona civile ha in comune con le altre persone civili la sete di giustizia, uguaglianza e pace. Nessuno dovrebbe dimenticare le persecuzioni e gli stermini nella storia, causati da odi spesso ancestrali. Né la schiavitù delle genti, il rifiuto dei profughi, l’intolleranza verso le minoranze. Né l’indifferenza, di fronte a tali mostri. L’antirazzismo, l’educazione alla Memoria della Shoah, i diritti umani sono cultura. Cultura buona, di civiltà. Una linfa che deve circolare nel mondo, se vogliamo una società più sana. E questo obiettivo di diffondere memoria e civiltà è il fine dell’attivismo sociale, come quello di Black Lives Matter; un obiettivo che è auspicabile si affermi senza essere travisato, strumentalizzato o tradito.