di Roberto Malini
Nella pagina Facebook di un amico si discute dei “bei tempi”, gli anni in cui i nostri padri o nonni “fecero la guerra” e se ne vantarono sempre, come se imbracciare un fucile e obbedire a ogni costo fosse motivo di orgoglio e di esempio per le generazioni future. Durante i “bei tempi” la gente, salvo poche persone che non avevano perso il senso della civiltà, era quantomeno indifferente verso le deportazioni e l’assassinio di milioni di innocenti. E i “bravi soldati” erano inconsapevoli di cosa significassero i conflitti a cui presero parte, essendo solo atomi dei minuscoli ingranaggi che formavano una macchina impazzita.
Oggi vi è un’indifferenza simile riguardo alle morti dei profughi in mare e sulle altre vie della speranza, alla persecuzione dei rom e sinti, alla condizione di invisibilità e oppressione in cui vivono le persone LGBT, alla situazione di tante donne nel mondo. Oggi come allora, la politica trasforma le vittime dell’intolleranza in altrettanti invasori o nemici della famiglia tradizionale. E si deride chi non accetta questa calunnia, il “buonista”.
Ricordare, conoscere e coltivare la Memoria è una via alla civiltà, per evitare quell’errore così comune di sentirsi nel giusto e di essere invece parte di nuove forme di iniquità.