di Roberto Malini
La libertà è il massimo bene, per un popolo. All’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, la grande maggioranza degli italiani riteneva assodato tale concetto e quasi nessuno avrebbe voluto abbandonare il popolo ucraino nelle mani dell’invasore. La resistenza di Zelensky e dei suoi eroi era vista come la nostra resistenza, la resistenza dell’Europa, della democrazia, della civiltà stessa. Si è temuto, è vero, lo scoppio della terza guerra mondiale, ma lo si considerava comunque un evento altamente improbabile, purché i paesi amici dell’Ucraina non avessero un coinvolgimento diretto nella difesa militare dell’Ucraina. Poi però si è presentato non come un fantasma, ma come una realtà la necessità di fare rinunce a titolo personale (la libertà costa, anche quella degli altri). Tra di esse, la razionalizzazione del gas domestico e forse dell’elettricità. L’aumento del prezzo del carburante, della pasta e di chissà cos’altro. Ed ecco emergere dalla nebbia uno stuolo di pacifisti a tutti i costi: non diamo armi all’Ucraina! Non prolunghiamo la sofferenza di quei poveretti, non creiamo nuovi orfani e nuovi profughi; aiutiamoli a terminare le azioni di difesa e a vivere. Magari sotto il giogo dell’invasore, ma almeno in vita! Chi ci dice che i Russi saranno crudeli? Non potrebbe invece rivelarsi un bene, per i poveri fratelli ucraini? E poi chissà… i corsi e ricorsi storici… la nostra amicizia che li conforterebbe da lontano, con discrezione, ma anche con simpatia solidale. Siamo proprio un popolo di santi (come ci ricordava Dario Fo nella canzone E chi ce lo fa fare?), oltre che di poeti, navigatori, allenatori della nazionale di calcio, virologi, epidemiologi e, dal 24 febbraio scorso, esperti di Russia e paesi dell’ex Unione Sovietica…