di Roberto Malini
Taras Hryhorovyč Ševčenko è considerato come una delle colonne della moderna letteratura dell’Ucraina. La sua opera poetica è stata fondamentale nella formazione della lingua ucraina odierna, di cui è considerato il fondatore. Contemporaneamente, i contenuti espressi dai suoi versi romantici, in cui si fondono il più ardente patriottismo e l’anelito a una società più giusta e solidale, contribuirono all’affermazione di una coscienza nazionale ucraina. L’articolo è stato pubblicato sul n° 2 della rivista Agire Sociale (aprile 2022)
Cadono bombe sull’Ucraina. Ogni genere di bomba, anche quelle definite come “eccezionalmente letali”, a grappolo e termobariche, proibite dalle Nazioni unite eppure impiegate dagli invasori russi per uccidere il più alto numero possibile di esseri umani. Oltre ai soldati ucraini, bambini, donne e anziani sono quotidianamente dilaniati dalle schegge, inceneriti da bolle di fuoco, maciullati da onde d’urto. Una strage che il mondo non riesce a fermare. Nell’Ucraina che resiste in condizioni di enorme fragilità e inferiorità bellica, gli aerei, i cannoni, i lanciamissili russi colpiscono giorno e notte tutte le principali città, distruggendo centinaia di edifici, infrastrutture, ospedali, asili, case. E anche musei, raccolte d’arte, biblioteche. Persino il memoriale del massacro di Babyn Yar a Kiev. Come se nei piani dell’aggressore vi fosse anche quello di annientare la storia e la cultura del paese, sul cui territorio, che è stato teatro nei secoli di terribili invasioni, vi sono tracce dell’homo sapiens risalenti a oltre 34 mila anni fa. Tuttavia, libertà e pace si sono affermate nel paese solo nel 1991, quando il Parlamento ucraino adottò l’Atto di indipendenza dell’Ucraina attraverso il quale il Parlamento dichiarò la nazione come uno stato libero e democratico. Una libertà lungamente agognata e pagata con fiumi di sangue. È per questo che il paese la considera il suo bene più prezioso e oggi resiste contro un gigante che miete migliaia di vite con i sistemi d’arma più evoluti, ma anche stringendo in una morsa i centri urbani, da Odessa a Kiev, la capitale e il cuore dell’impari resistenza. Alcune città sono già state brutalmente espugnate. Ho numerosi amici in Ucraina, scrittori, poeti e attivisti per la libertà e la pace. Uno di loro è il grande pittore Ivan Marchuk, le cui opere sono in alcune delle principali raccolte pubbliche e private d’arte moderna. Ivan ha 86 anni e vive a Kiev, dove le istituzioni avevano già scelto, recentemente, il palazzo destinato a diventare un museo a lui dedicato. Anche quell’edificio è stato danneggiato dalle bombe. Ogni volta che sente un’esplosione, Ivan soffre come se il suo corpo stesso fosse ferito. Considera ogni zolla, ogni filo d’erba, ogni mattone del suo paese come elementi sacri, che devono essere difesi a ogni costo dall’orrore della guerra. Il sogno di Ivan è anche il mio, è anche quello di tutti gli esseri umani che credono nella libertà e nella pace: ascoltare ancora i bambini ucraini cantare, restituiti alla loro infanzia e alla libertà che possedevano. Marchuk, inserito da un’importante istituzione fra i 100 geni viventi, ha ricevuto nel 1997 il Premio Taras Hryhorovyč Ševčenko, massimo riconoscimento per un artista in Ucraina. È molto fiero di quel premio, perché è dedicato a una delle colonne della moderna letteratura dell’Ucraina. Nato a Morynci il 9 marzo 1814, in una famiglia di servi della gleba, e morto a San Pietroburgo il 10 marzo 1861, Taras Hryhorovyč Ševčenko ha esercitato un’influenza fondamentale sulla lingua ucraina moderna, tanto che i suoi concittadini lo paragonano a Dante. Privo dello stato di uomo libero a causa della sua schiatta, Ševčenko manifestò fin dall’infanzia un formidabile talento nel disegno e nella pittura, tanto che il suo signore, Pavel Engelhardt, decise di finanziare la sua istruzione artistica e umanistica prima a Vilnius, quindi a San Pietroburgo, dove conobbe alcuni importanti pittori del suo tempo. Fu proprio il grande artista Karl Pavlovič Brjullov, divenuto suo amico, a riscattare nel 1838 la libertà del giovane Ševčenko. Ammesso all’Accademia Imperiale delle arti, studiò proprio con il suo liberatore, conseguendo ben presto importanti riconoscimenti. Aveva solo 24 anni quando fu pubblicata la sua raccolta di poesie Kobzar, scritta in gran parte negli anni di servitù. Le sue liriche ottennero grandi consensi per l’elegante stile poetico e la bellezza delle immagini che i suoi versi evocavano, immagini che riconducevano sempre alla sua terra, caratterizzata da una natura rigogliosa nonché da architetture splendide e monumentali. Le stesse architetture che, ridotte in rovina negli anni dell’oppressione perpetrata dallo zar Alessandro II di Russia, ritroviamo nei suoi acquerelli. Dopo che l’Accademia gli conferì il diploma d’arte, Ševčenko tornò per un breve soggiorno nella sua terra natale, dove aderì alla Confraternita dei Santi Cirilllo e Metodio, unendosi ad altri intellettuali e attivisti ucraini, i cui obiettivi erano l’abolizione della servitù della gleba e una serie di riforme per la libertà e l’accesso alla cultura di tutte le classi sociali. Gli stessi temi che il poeta aveva espresso nel suo poema mai pubblicato Il sogno. All’interno della Confraternità, tuttavia, vi era chi predicava la necessità di una rivoluzione. La Confraternita dei Santi Cirilllo e Metodio venne soppressa nel 1847; Ševčenko fu arrestato insieme ad altri confratelli e rinchiuso nel carcere di San Pietroburgo. Quindi venne inviato in esilio presso la guarnigione militare di Orst, nell’oblast di Orenburg, vicino ai Monti Urali. Era sotto stretta sorveglianza e gli era stato comminato il divieto di scrivere o dedicarsi all’arte. Nonostante fosse un civile, nel 1848 fu assegnato alla prima spedizione navale russa sul Lago di Aral, a bordo della nave Konstantin. Ševčenko colse l’occasione per realizzare una serie di disegni e dipinti dedicati all’ambiente naturale dell’Aral e ai popoli del Kazakistan. Nel 1857 gli fu accordata la grazia imperiale, ma solo due anni dopo ebbe il permesso di tornare in Ucraina. Tenuto d’occhio dalle autorità, dopo pochi mesi venne accusato di blasfemia, arrestato e rispedito a San Pietroburgo. Provato dalla durezza degli eventi che avevano caratterizzato la sua breve vita, Ševčenko trascorse gli ultimi anni dedicandosi tanto alla poesia quanto al disegno e alla pittura. Pubblicò alcuni lavori, ma i contemporanei non compresero pienamente la sua grandezza. Morì a San Pietroburgo il 10 marzo 1861, il giorno successivo al suo quarantasettesimo compleanno. In un primo momento fu sepolto a Smolenk, ma successivamente i suoi amici più cari, per esaudire il suo ultimo desiderio, espresso nella poesia Testamento (pubblicata qui di seguito nella mia traduzione), fecero spostare il suo feretro in Ucraina, dove fu tumulato sulla Chernecha hora (la “Collina del Monaco”), vicina al fiume Dnepr. L’influenza della poesia di Ševčenko si fece sentire con una rilevanza sempre più significativa, negli anni successivi alla sua morte, divenendo fondamentale nella formazione della lingua ucraina moderna, di cui è considerato il fondatore. Contemporaneamente, i contenuti espressi dai suoi versi romantici, in cui si fondono il più ardente patriottismo e l’anelito a una società più giusta e solidale, contribuirono all’affermazione di una coscienza nazionale ucraina.
ЗАПОВІТ
Як умру, то поховайте
Мене на могилі,
Серед степу широкого,
На Вкраїні милій,
Щоб лани широкополі,
І Дніпро, і кручі
Було видно, було чути,
Як реве ревучий.
Як понесе з України
У синєє море
Кров ворожу… отойді я
І лани і гори —
Все покину і полину
До самого бога
Молитися… а до того
Я не знаю бога.
Поховайте та вставайте,
Кайдани порвіте
І вражою злою кров’ю
Волю окропіте.
І мене в сем’ї великій,
В сем’ї вольній, новій,
Не забудьте пом’янути
Незлим тихим словом.
Testamento
Quando morrò, tumulatemi
Lassù, sul colle, in una tomba
Nella vastità della steppa
Della mia amata Ucraina,
Così potrò vedere e ascoltare
Il Dnepr dalle rive scoscese
Che rimbomba selvaggio.
Quando il mio fiume
Porterà dall’Ucraina
Al mare blu profondo
Il sangue nero del nemico,
Solo quel giorno me ne andrò.
Le colline e i floridi campi
Lascerò, per volare
A casa del Signore.
Fino ad allora, Dio mi sarà ignoto.
Seppellitemi, poi alzate la testa,
Spezzate le catene
E dall’acqua mischiata
Al sangue dei tiranni
Sgorghi la libertà, come conquista.
Nella vostra famiglia forte e libera
Vorrei essere ricordato
Con una parola gentile.
(Traduzione di Roberto Malini)
Nelle foto, Taras Ševčenko in un foto del 1859; il suo dipinto del 1843 Famiglia contadina; Autoritratto; la prima edizione della raccolta di poesie Kobzar