Introduzione di Daniela Malini
L’abilità di scrittura, a scuola, soprattutto al Liceo, rappresenta uno degli scogli più difficili da affrontare. Lo stesso tema d’italiano, così importante per conoscere gli allievi, rischia di diventare un esercizio come tanti, un rito nella migliore delle ipotesi. Manca, nella scuola, l’idea che l’apprendimento possa rappresentare anche un piacere, uno sforzo che dà piacere.
La scrittura espressiva rappresenta uno strumento straordinario di conoscenza di sé e del mondo. Per poter scrivere è prima necessario osservare, non solo gli aspetti esteriori dell’essere umano, ma soprattutto quelli interiori. Ci vuole un pizzico di psicologia, inoltre, per raccontare al lettore le dinamiche sottese ai comportamenti dei vari personaggi. La scrittura, inoltre, in particolare quella individuale, permette ai ragazzi di esprimersi protetti dal mondo rappresentato, una meravigliosa finzione sempre presente quando assumiamo il ruolo di voce narrante.
La storia nasce sotto gli occhi dei ragazzi, nascono suoni, profumi, paesaggi: alcuni sopravvivono ed entrano nella vicenda, altri scompaiono con una semplice cancellatura.
Se poi la scrittura viene realizzata in piccoli gruppi di lavoro, entrano in gioco altre dinamiche, centrali nel processo di crescita: rinunciare a qualcosa, magari a un’idea, per il buon risultato del gruppo, oppure insistere per riuscire ad affermarla; imparare a confrontarsi senza scontri eccessivi, saper ascoltare, imparare a condividere i risultati, uscire dalla dimensione dell’io per entrare in quella del noi.
La nuova iniziativa riservata agli studenti – che Genova Poesia accoglie con la sua consueta, meravigliosa disponibilità – presenta un lavoro di scrittura “a staffetta” da svolgere all’interno di tre gruppi. Ogni gruppo ha trasferito a quello che seguiva una o più sequenze, che il gruppo successivo ha integrato in modo organico ma decidendo in autonomia l’intreccio. Solo nella parte conclusiva i gruppi hanno lavorato insieme, in un gruppo più ampio, per condividere il finale.
A tutto questo lavoro si sono aggiunte quattro opere in A.I. e pittura digitale dell’artista Roberto Malini, che si è prestato a creare la sequenza di opere ad hoc per “L’orologio”.
L’orologio
degli studenti della classe I DSE – Liceo Economico Sociale Piero Gobetti Genova
Stavo camminando per strada quando vidi un gatto nero e poiché sono un tipo un po’ distratto, mentre con la coda dell’occhio seguivo l’incedere del gatto, caddi in un fossato, profondo e buio.
Quando mi risvegliai mi accorsi di essere in un vecchio ospedale in stile ottocentesco.
Vidi passare due infermiere con un passo spedito, una custodiva un antico orologio tra le mani. Avendo notato il mio risveglio, scapparono entrambe verso un lungo corridoio, illuminato solo da una lanterna.
Improvvisamente nel corridoio arrivò un gatto che mi sembrava di aver già visto: aveva due occhi color smeraldo il cui sguardo avrebbe potuto ipnotizzare chiunque.
Quando il gatto mi si avvicinò lo accarezzai e provai una strana sensazione, come se avessi già vissuto quel momento in una vita precedente, o semplicemente in passato.
Da una stanza attigua udii, all’improvviso, le urla di una donna.
Mi voltai e al posto del gatto comparve un’imponente figura maschile che sorreggeva in una mano un orologio, dal cui interno proveniva uno strano ticchettio.
Il suono iniziò a intensificarsi sempre di più e l’uomo, ad un tratto, scomparve in una fitta nebbia; al suo posto apparve un’infermiera.
Iniziai a strofinarmi gli occhi, incredulo, e mi resi conto che il ticchettio iniziava ad essere quello di un qualsiasi orologio.
Vedevo gli oggetti e le persone intorno a me sempre più distintamente e dopo un paio di minuti mi accorsi di essere nell’ospedale della mia città.
Non riuscivo ancora a capire cosa mi fosse successo, ma soprattutto che significato avessero tutte le immagini che avevo visto materializzarsi sotto i miei occhi durante quella specie di lungo sonno.