di Roberto Malini
A Pesaro, presso la Galleria Rossini, è in corso – con notevole successo, a giudicare dall’affluenza durante il vernissage – la mostra “Atto I”, in cui espongono due giovani pittori: Giuseppe Sicignano e Kelvin Asemota Odufuwa. Ho ammirato alcune opere di Kelvin, che mi hanno positivamente impressionato. “Atto I” rappresenta il debutto di questo interessante giovane artista figurativo, i cui dipinti ad acrilici sono caratterizzati da forme essenziali, spesso bianche o nere, su fondi monocromatici. Nell’opera di Kelvin sono citati alcuni del maestri dell’arte moderna: De Chirico, Picasso, Magritte, Dalí.
Citazioni che servono al pittore per rappresentare i punti di contatto e le radici comuni fra l’arte africana e quella occidentale. L’arte africana, ricca di storia e significato, continua a esercitare un peso considerevole sull’arte contemporanea, che ne recupera l’essenzialità simbolica, espressa attraverso forme stilizzate e colori puri, usati in una gamma limitata. Basti pensare all’influenza che ha avuto la scuola congolese di Poto Poto sull’arte moderna occidentale o al lavoro di artisti africani come il nigeriano Ben Enwonwu, che ha saputo fondere le esperienze europee a quelle tradizionali del suo paese, ispirando generazioni di artisti.
Le figure umane, che provengano dall’immaginario di De Chirico o da quello di Magritte, appaiono nei dipinti di Kelvin come simboli dell’esistenza umana nel nostro tempo, in cui l’individuo subisce gli effetti di un società globalizzata, artificiale, incapace di credere o sperare. E, di conseguenza, confusa, egoista, indifferente. Il giovane artista si sente testimone di questa realtà e le sue opere sono finestre che non si chiudono mai, varchi da cui l’esperienza dell’arte moderna filtra come una luce che non vuole spegnersi, perché nel buio della civiltà vi sono solo divisione, conflitto, morte.
Ho conversato con Kelvin, apprezzando la sua fiducia nell’arte come strumento di risveglio delle coscienze. Possiamo continuare a far finta di niente, insensibili come i manichini di De Chirico, senza orecchie né occhi, come se tutto ciò che avviene intorno a noi non esistesse o, peggio ancora, fosse inevitabile, logico, normale. Oppure, possiamo separarci dall’ombra della nostra paura globalizzata, illuminarci, elevarci e… fare la differenza. Il venticinquenne Kelvin Asemota Odufuwa la sta facendo e non ho dubbi che sentiremo ancora parlare di lui. La mostra “Atto I” proseguirà fino al 3 dicembre.
Nella foto di Steed Gamero, Kelvin Asemota Odufuwa con Roberto Malini