Memoriale al Furlo, simbolo della tragedia dei lager

di Roberto Malini

Dal 28 aprile scorso le Marche hanno un piccolo, ma significativo Memoriale dell’Olocausto, che Dario Picciau e io abbiamo progettato e installato sul Cammino di Sant’Anna, a Fossombrone, presso il parco di land art del Furlo, invitati da Andreina De Tomassi e Antonio Sorace, fondatori e promotori del parco. Non tutti lo sanno, ma oltre 100 ebrei vennero deportati dalle Marche, senza tener conto delle famiglie ebree che provenivano da fuori né degli ebrei deportati dalla provincia di Pesaro, su cui abbiamo dati parziali. Sappiamo che vi furono anche giusti come Buonasera Grilli, antifascista di Fossombrone che nascose e protesse alcuni ebrei, fra cui Alfred Wiesner, il primo proprietario dell’industria produttrice di gelati Algida, con la moglie Edith.

Pochi giorni dopo l’installazione del memoriale, noi autori siamo stati contattati telefonicamente da un’insegnante di Ancona, che ha in progetto di condurre i suoi allievi nel parco di Land Art del Furlo e di sostare presso la nostra opera, per spiegarne loro il significato. «So bene cosa significhi l’espressione “Never again”, “mai più” – ci ha detto – ma vorrei chiedervi a quali aspetti della Shoah vi siete ispirati, quando avete progettato il memoriale». Le abbiamo risposto che l’opera è molto semplice e gli elementi che la compongono ci sono stati suggeriti da alcune testimonianze. Abbiamo scelto lettere in alluminio in ricordo dei deportati ad Auschwitz-Birkenau. «Ci ordinarono di svestirci, ci tolsero tutte le nostre cose personali, perfino un cucchiaio d’alluminio. In cambio ottenemmo una camicia sporca e dei mutandoni, un vestito a righe e un copricapo sporco. Per camminare ricevemmo zoccoli di legno, troppo grandi per i nostri piedi, che non ci servivano a molto. Quando andavamo al lavoro li toglievamo perché ci facevano male e non riuscivamo a camminarci in modo veloce». Nulla apparteneva più ai deportati, neanche i più umili oggetti, neanche le loro vite. Neanche il sollievo di camminare con i piedi protetti da calzature, che a volte si trasformavano in strumenti di tortura. Ecco perché chi camminerà sulla piazzola-memoriale, lo farà a piedi nudi. E lo farà sul cemento, simile a quello di Auschwitz, che il grande storico britannico Ian Kershaw ha definito “cemento dell’indifferenza”. Infine, per raggiungere la piazzola-memoriale è necessario attraversare una linea blu, blu come le righe sulle divise dei deportati. Quella linea è un margine, un limen, una soglia che richiede a chi la oltrepassa l’adesione alla missione umana di ricordare l’orrore della Shoah e dei crimini d’odio del nazifascismo, traendone il monito di impegnarsi a vigilare, come hanno chiesto a tutti noi i testimoni dello sterminio: “Never again”, “mai più”.

Nella foto di Dario Picciau, da sinistra, Antonio Sorace e Roberto Malini presso il Memoriale

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