di Roberto Malini
Se ne discute, a Pesaro, fra intellettuali, critici e storici dell’arte, cittadinanza e visitatori da fuori… L’opera monumentale in piazzale D’Annunzio fa discutere e riceve un mix di amore e odio. In certi momenti, sembra di assistere a discussioni sulla politica o sul calcio. L’architetto del piazzale vorrebbe spostarla presso il Museo Officine Benelli. Vi è anche chi – esagerato! – vorrebbe farla a pezzi, ridurla in microplastiche. Da parte mia, ritengo che a Pesaro si stia rafforzando un importante dibattito culturale, che riguarda tanto le antichità che le opere e le architetture moderne e contemporanee. Sicuramente un fenomeno positivo, di cui dobbiamo ringraziare attivisti e promotori culturali che da anni si impegnano per evitare il deterioramento, la cattiva trasformazione e la perdita del nostro patrimonio di storia e cultura.
Vi è un elemento di primaria importanza, nella valutazione del “Casco Grande di Valentino” e sono le parole dello stesso Massimiliano Santini, ideatore e coordinatore del progetto, che spiega: “E’ un casco di dimensioni mai viste. Un’opera artistica unica nel suo genere che, oltre ad essere un omaggio alla carriera di Valentino Rossi, può sicuramente diventare un simbolo attrattivo della città di Pesaro per quanto riguarda turismo sportivo legato al fenomeno Valentino, ma anche per accogliere tanti curiosi o appassionati” (RaiNews.it, 26 luglio 2022).
Personalmente, comprendo ogni critica, ma rispetto la definizione dell’artista, che si è premurato di definire il “Casco Grande di Valentino” come “opera artistica”. È l’artista che cala un’opera nella dimensione dell’arte, non un critico né altro osservatore. Da parte mia, rinnovo i complimenti a Santini per essersi offerto di restaurare l’opera in tempi brevissimi e posso testimoniare che la sua installazione d’arte ha ottenuto il plauso del campione e trasmette molta gioia a bambini e famiglie, oltre a richiamare scatti da tutto il mondo. Una volta resa impermeabile agli agenti atmosferici, può essere paragonata a opere di Paladino, Koons od Oldenburg.
Foto di Fabio Patronelli