Homo Mediaticus: come affrontare un’evoluzione troppo rapida

di Roberto Malini

Nel vortice scintillante e onnipervasivo dell’era digitale, l’essere umano si è trasformato in un’entità ibrida, una sorta di Homo Mediaticus, per il quale la sapienza non riesce a prescindere dalle nuove tecnologie sociali e generative. Ho pensato di definirlo, in alternativa, Homo Artifex Tecnologicus oppure Homo Ampliato Ingenio, ma mi sembra che Homo Mediaticus sia più diretto. Questa nuova persona, nata dall’unione simbiotica tra carne e codice, naviga un oceano di bit con la stessa naturalezza con cui i suoi antenati solcavano i mari primordiali. I dispositivi elettronici non sono più semplici strumenti, ma vere e proprie estensioni del sé, protesi digitali che amplificano e al contempo distorcono la percezione della realtà.

Invocazione al Pantheon algoritmico

Dal tempio della tecnologia, l’Homo Mediaticus ha lanciato un’invocazione che echeggia ancora attraverso i corridoi del silicio: “Vieni, Intelligenza artificiale, e sii il nostro nuovo demiurgo!” E l’AI è giunta, portando con sé la promessa di un nuovo eden digitale, un giardino delle delizie computazionali dove ogni desiderio può essere soddisfatto con un semplice comando vocale.

Questa neoeletta divinità algoritmica offre poteri che un tempo erano dominio esclusivo dei semidei o dei sovrani: l’onniscienza dell’oracolo di Delfi, condensata in un assistente virtuale sempre pronto a rispondere; la saggezza millenaria della biblioteca di Alessandria, accessibile con un tocco sullo schermo; un Pantheon digitale in cui si distinguono, nel ruolo di coppieri degli dei, avatar e influencer, pronti a offrire conforto e validazione in un mondo sempre più disconnesso dal tangibile.

Un irrefrenabile entusiasmo digitale

Immerso in questa orgia di possibilità, l’Homo Mediaticus si trova in uno stato di perpetua euforia tecnologica. Le endorfine scorrono al ritmo delle notifiche, ogni like è un’iniezione di dopamina, ogni retweet una conferma della propria esistenza digitale. La realtà aumentata sovrappone strati di informazioni al mondo fisico, creando un palinsesto di significati in continua evoluzione.

Ma in questo caleidoscopio di stimoli, qualcosa si perde. Il contatto con il reale si attenua, come un segnale radio disturbato da troppe interferenze. Gli affetti si trasformano in emoticon, le relazioni in connessioni di rete, la profondità del cosmo in wallpaper ad alta risoluzione. L’Homo Mediaticus rischia di diventare un naufrago nel mare dell’informazione, aggrappato al suo smartphone come a una zattera di salvataggio online. Un supereroe in poltrona rinchiuso nella sua bit-caverna e convinto di essere protagonista nel mondo.

La crisi del “metasguardo”

Questa saturazione mediatica ha portato a una crisi del “metasguardo”, quel senso intuitivo che un tempo permetteva di navigare le acque torbide della realtà con una sorta di bussola interiore. Il bombardamento costante di immagini e contenuti ha appannato od eroso la capacità di vedere veramente, di penetrare oltre la superficie luccicante degli schermi ad alta definizione.

La dimensione etico-estetica si trova ora in un limbo, sospesa tra la performatività dello scambio sociale digitalizzato e l’autenticità dell’esperienza diretta. Il concetto stesso di “mediale” viene rioccupato artificialmente, creando un nuovo tipo di ars che sfida le categorie tradizionali dell’operatività artistica.

In questo scenario, il bello non è più una categoria dello spirito, ma un algoritmo di tendenza, un hashtag virale, un filtro Instagram. L’oggetto d’arte si dissolve in un flusso di contenuti generati automaticamente, dove l’immediatezza sensoriale cede il passo a una realtà mediata e manipolata, ingannevolmente simile a un mondo ideale, dove però i desideri sono indotti dal marketing digitale integrato.

Come siamo entrati nella crisi?

Come siamo precipitati nella crisi del “metasguardo”, caratterizzata da dipendenza tecnologica nonché rinuncia a privacy, tempo libero e pensiero autonomo per diventare parte dell’ecosistema digitale interconnesso, eternamente in una bolla di artificio?

Nel corso del XX secolo, la nostra percezione mediatica è stata plasmata da una serie di sviluppi fondamentali, spesso accompagnati da avvertimenti chiari e profetici riguardo agli effetti sul pensiero critico e sulla nostra esperienza sociale. Da teorici come Theodor Adorno e Max Horkheimer, che negli anni 1930 e 1940 del secolo scorso criticarono l’emergente “industria culturale”, fino ai moderni dilemmi etici dell’intelligenza artificiale (AI), l’evoluzione è stata continua e profonda.

Theodor Adorno e Max Horkheimer, teorici della Scuola di Francoforte, introdussero la critica dell'”industria culturale”. Essi temevano che la cultura di massa stesse uniformando il pensiero umano, riducendo la capacità critica e promuovendo un consumismo culturale dilagante. Le loro preoccupazioni sull’omologazione e sulla perdita di autonomia del pensiero sono vive ancora oggi, mentre le tecnologie digitali amplificano le loro previsioni più oscure.

Il medium è il contesto

Negli anni 1960, Marshall McLuhan rivoluzionò il nostro modo di comprendere i media con la sua celebre frase “il medium è il messaggio”. McLuhan anticipò l’era della globalizzazione digitale, in cui il modo in cui riceviamo informazioni e interagiamo con esse è tanto significativo quanto il contenuto stesso. Le sue osservazioni illuminano la nostra dipendenza crescente dai media digitali e la loro influenza pervasiva sulla nostra percezione del mondo. Oggi potremmo estendere così il suo inciso: “Il medium è il contesto”, dato che il contesto e la modalità di presentazione dei contenuti giocano un ruolo cruciale nella modellazione delle nostre percezioni e delle nostre interazioni mediatiche.

Nel 1967, Guy Debord scrisse “La Società dello Spettacolo”, dove analizzò come le immagini mediate stessero sostituendo l’esperienza diretta nella società moderna. Debord predisse un futuro in cui la realtà sarebbe diventata un “sistema di immagini”. Oggi, la realtà aumentata e virtuale amplificano queste profezie, spingendo ulteriormente i confini tra reale e artificiale.

Con l’avvento di Internet e dei social media, la nostra esperienza mediatica è esplosa in un mare di contenuti digitali. Ciò ha portato a una sovraccarico informativo, dove la nostra attenzione è divisa tra un flusso incessante di immagini, video e informazioni. La personalizzazione degli algoritmi ha creato bolle di filtraggio, limitando la nostra esposizione a prospettive diverse e alimentando il fenomeno della “post-verità”.

Verso una “terra di mezzo”

Eppure, in questo paesaggio di abbagliante, accecante complessità digitale, emerge la necessità di una “terra di mezzo”. Un luogo dove l’intelligenza artificiale non sia un sostituto della realtà, ma un ponte verso una comprensione più profonda di essa. Un catalizzatore per una nuova forma di crescita umana che non neghi il reale né il virtuale, ma li integri in una sintesi armoniosa.

Questa terra di mezzo non è un luogo fisico, ma uno spazio concettuale che deve essere co-creato da una coalizione di menti: studiosi che esplorano le implicazioni filosofiche di questa nuova realtà, ricercatori che spingono i confini del possibile, tecnici che forgiano gli strumenti del futuro, comunicatori che traducono la complessità in comprensione, imprenditori che creano valore in questo nuovo ecosistema, artisti, infine, che immaginano e danno forma a nuovi modi di essere e percepire.

Il compito di questa coalizione è duplice: da un lato, deve agire come un firewall umano, filtrando il diluvio di informazioni e aiutando l’Homo Mediaticus a navigare il mare digitale senza perdere la bussola della propria umanità. Dall’altro, deve fungere da ponte, creando connessioni significative tra il mondo virtuale e quello fisico, tra il codice e la carne, l’algoritmo e l’anima. In tale dimensione, gli artisti saranno osservatori e testimoni delle due realtà interconnesse, interpreti della terra di mezzo.

L’arte come faro mediatico

Così, ecco che l’arte è destinata ad assumere un ruolo cruciale. Non più confinata nei musei o nelle gallerie, l’arte nell’era dell’Homo Mediaticus deve diventare un faro digitale nel flusso incessante di informazioni. Deve sfidare la percezione, rompere le bolle algoritmiche, e ricordare all’essere umano la sua capacità di meravigliarsi di fronte al mistero dell’esistenza.

Gli artisti del futuro saranno chiamati a creare opere che esistano simultaneamente nel reale e nel virtuale, che sfruttino il potere dell’AI non per sostituire la creatività umana, ma per amplificarla. Installazioni che fondano elementi fisici e digitali, performance che coinvolgano sia corpi reali che gli avatar virtuali, dipinti che si animino o comunque trasfigurino quando visti attraverso la lente della realtà aumentata: sono solo alcune delle possibilità che si aprono in questa nuova frontiera artistica. Grazie all’AI, l’artista della “terra di mezzo” avrà gli strumenti per creare un nuovo immaginario, vivo, permanente o impermanente, senza limiti, rispondendo visibilmente e sensibilmente alla domanda che si pose Michelangelo di fronte al suo Mosè: “Perché non parli”. Le nuove opere, se realizzate da artisti di genio, faranno ben più che “parlare”.

Punto di equilibrio

La sfida ultima per l’Homo Mediaticus è quella di trovare un equilibrio tra l’ebbrezza delle possibilità digitali, l’ancoraggio alla realtà fisica e il rispetto dei valori etici. Questo equilibrio non è un punto fisso, ma un processo dinamico di continua negoziazione tra il sé organico, il sé digitale e il sé morale.

In questa ricerca di equilibrio, l’intelligenza artificiale può giocare un ruolo paradossale ma cruciale. Proprio come un vaccino contiene una versione indebolita del virus per stimolare le difese immunitarie, l’AI può essere utilizzata per inoculare un rimedio all’Homo Mediaticus, contro gli eccessi della digitalizzazione.

Immaginiamo sistemi AI progettati non per massimizzare il coinvolgimento online, ma per incoraggiare pause offline. Algoritmi che suggeriscano esperienze nel mondo reale basate sui nostri interessi digitali. Assistenti virtuali che ci ricordino di distogliere lo sguardo dallo schermo e di connetterci con le persone intorno a noi.

Rinascenza digitale

È innegabile il timore che l’umanità di oggi nutre verso l’intelligenza artificiale, che riscrive le regole dell’esperienza mediatica. Con la capacità di generare contenuti e personalizzare esperienze su misura, l’AI sembra destinata ad amplificare ulteriormente la saturazione mediatica. Tuttavia, al di là dei legittimi sospetti, delle ansie giustificate e nonostante le sfide che ci attendono, esistono prospettive positive. L’educazione alla media literacy diventerà cruciale nel navigare il paesaggio mediatico complesso e saturo. Movimenti di digital detox promuoveranno esperienze sensoriali più immediate e autentiche, contrastando la dipendenza tecnologica. Nuove forme artistiche stanno già emergendo, riconnettendo le persone con esperienze sensoriali non filtrate.

Mentre l’Homo Mediaticus si evolve, portando con sé il bagaglio della sua umanità nel nuovo mondo digitale, si profila all’orizzonte la possibilità di una “rinascenza digitale”. Un’era in cui la tecnologia non sia un fine in sé, ma un mezzo per esplorare le profondità dell’esperienza umana con strumenti prima inimmaginabili. In questa nuova epoca, l’arte, la scienza, la filosofia e la tecnologia convergono, creando una sinergia che trascende i confini tradizionali delle discipline. L’Homo Mediaticus, armato della sua doppia natura di essere fisico e digitale, si trova nella posizione unica di poter esplorare nuove dimensioni dell’esistenza, della conoscenza e della stessa natura.

Come torce nel buio

La sfida che ci attende è quella di plasmare questa evoluzione in modo che arricchisca, piuttosto che diminuisca, la nostra umanità. Di utilizzare la potenza dell’AI e delle tecnologie digitali non per sottrarci alla realtà, ma per comprenderla più profondamente, per contemplarla più da vicino e in tutte le sue possibili accezioni. Possiamo contribuire alla nascita di una “terra di mezzo” che non sia solo esperienza superficiale e di consumo, ma una regione ideale, in cui le più pregiate delizie intellettuali e sensoriali si rivelino accanto agli aspetti primari della civiltà, troppo spesso negletti. Una regione in cui essere sì privilegiati, ma contemporaneamente responsabili, consci che “oltre il giardino” vi sono crisi umanitarie e ambientali, conflitti, disparità sociali, luoghi dove i diritti umani e quelli delle generazioni future sono regolarmente calpestati.

In questo nuovo mondo, l’Homo Mediaticus – evoluzione forse troppo rapida dell’Homo Sapiens – non sarà schiavo né padrone della tecnologia, ma un sapiente alchimista e, se lo vorrà, un efficace attivista, capace di trasformare il piombo dell’informazione grezza e incontrollata nell’oro dell’equilibrio digitale e di contribuire concretamente al progresso della società. In tale processo di trasformazione, forse, riscopriremo aspetti della nostra umanità che avevamo dimenticato, non più confusi, ma illuminati dalla luce riflessa degli schermi, che sarebbe finalmente “nostra”, come il fuoco delle torce che guidarono i passi degli antichi esploratori attraverso notti profonde, selve oscure e grotte aperte nel ventre della terra.

Dipinti in AI e pittura digitale di Roberto Malini

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *