di Roberto Malini
Gli attacchi contro l’atleta algerina Imane Khelif, provenienti da cittadini, politici e personaggi pubblici, sono frutto di disinformazione e, spesso, di discriminazione. La pugile è stata definita da più parti come “un maschio” e l’atleta che si è ritirata dopo averla affrontata per soli 46 secondi di gara ha ricevuto attestazioni di solidarietà come “vittima di un’ingiustizia”. Tuttavia, Imane Khelif non è né “un maschio”, ma un’atleta intersex.
Come Lin Yu Ting, anche lei atleta intersex, Khelif è stata sottoposta a test cromosomici e ormonali dai medici del Comitato Olimpico Internazionale, risultando idonea a partecipare al torneo femminile di boxe. È quindi evidente che le notizie false e gli attacchi siano il prodotto di ignoranza e discriminazione.
Il caso di Khelif ricorda quello di Caster Semenya, che, dopo essere stata esclusa dalla World Athletics, ha vinto la causa presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nel 2023. Nonostante ciò, Semenya non ha avuto il diritto a competere, vedendo la sua carriera completamente compromessa. Chi calunnia e insulta Khelif spesso non conosce le regole dello sport e si improvvisa paladino contro l’identità di genere, ignorando le linee guida del Comitato Olimpico Internazionale del 2021 sull’identità di genere e le variazioni delle caratteristiche del sesso, che stabiliscono criteri di eleggibilità per atlete trans e intersex basati su comprovate evidenze scientifiche.
I processi politici, mediatici e sociali contro le persone intersex e transgender sono quindi frutto di ideologie intolleranti, che spesso ignorano volutamente gli studi e le ricerche condotti da anni da atleti ed enti sportivi su queste tematiche. È cruciale riconoscere l’importanza di una corretta informazione e di un approccio basato sulla scienza per garantire l’inclusione e il rispetto dei diritti di tutte le atlete e gli atleti, indipendentemente dalle loro identità di genere.
Gli attacchi che chiedono l’esclusione ingiustificata di atlete come Imane Khelif non solo promuovono la fine ingiusta delle loro carriere, ma perpetuano anche la disinformazione e la discriminazione. È tempo che il mondo dello sport e la società nel suo complesso riconoscano e rispettino le diversità, promuovendo un ambiente inclusivo e giusto per tutti.