Agapito Miniucchi e Mark di Suvero fra recupero di materia e recupero di civiltà

Agapito Miniucchi e Mark di Suvero, due scultori che, pur emergendo in contesti differenti, sembrano intrecciare le loro esperienze nel comune linguaggio della materia, protagonisti di una narrazione silente che si snoda tra pietra, legno, ferro e acciaio. Il confronto fra questi due artisti, apparentemente lontani per geografie e influenze, si rivela un intrigante esercizio di scoperta delle radici comuni della scultura astratta del XX secolo, dove l’astrazione si piega al volere dei materiali crudi o lavorati e la materia stessa diviene simbolo del progresso e dei sogni dell’umanità.

Miniucchi e il dialogo con la terra e il mare

Nato a Rocca Sinibalda nel 1923 e cresciuto a Pesaro, Miniucchi – che ci ha lasciati nel 2023, a quasi 100 anni – ha sempre conservato un legame primordiale con la natura, con la terra e il mare, elementi che non solo hanno ispirato la sua produzione artistica, ma incarnano una poetica quasi sciamanica nell’utilizzo del legno, della pietra e del metallo. Era un artista capace di attraversare le epoche dell’arte come un navigante: dai primi lavori figurativi, intrisi di naturalismo e realismo magico, alle opere concettuali ed essenziali che definiscono il suo periodo di maturazione. Il passaggio all’uso di materiali poveri – legno, pietra, metallo – riflette una volontà di dialogo con la materia stessa, recuperata dal grembo della natura o dal cuore dei luoghi industriali, in un’esplorazione delle forze invisibili che plasmano l’universo. Scelte che si legano all’estetica dell’Arte Povera, movimento che celebrava l’essenza nuda delle cose, liberandole dai vincoli della forma tradizionale.

Miniucchi non trattava i materiali come sostanze malleabili, al servizio della forma, ma interloquendo con la loro vicenda, con il loro vissuto. Ogni sua scultura sembra emergere da un processo meditativo, in cui la pietra e il metallo raccontano storie antiche o recenti, sussurrano della fatica e del lavoro umani, della trasformazione della materia grezza in simbolo, come in epoche antichissime. Le sue opere, come l’Hyperion di Terni, il Thaun del Parco delle Sculture di Brufa o Arim di Pesaro non sono solo strutture monumentali, ma sintesi di contemplazione in cui lo spettatore è chiamato a riflettere sul significato del sacrificio, della memoria e della condizione umana attraverso millenni di Storia

Di Suvero e la danza della materia

Dall’altra parte dell’oceano, Mark di Suvero, nato a Shangai nel 1933 da genitori ebrei sefarditi di origine italiana, è una figura centrale dell’Espressionismo Astratto in scultura. Nel suo lavoro, forgia una connessione di pari energia e valore simbolico con il ferro e il legno. Inizia a realizzare sculture con materiali di recupero negli anni ’50, esplorando le possibilità monumentali di travi d’acciaio e legni grezzi, elementi che, connessi gli uni agli altri, sembrano sempre astrarsi dalle leggi fisiche, mentre fluttuano nell’aria in un gioco di tensioni e bilanciamenti. Le sue prime opere, realizzate con materiali trovati in cantieri e discariche, quasi sempre scarti industriali, si svelano come potenti simboli di resistenza e rinascita, in una poetica che esplora l’intersezione tra forza fisica e leggerezza concettuale.

Di Suvero, come Miniucchi, esplora il potenziale della materia grezza, ma lo fa con un’intensità quasi musicale, dove l’acciaio diventa parte di spartiti cosmici caratterizzati da forze e controforze, materia chiara e oscura. Il suo approccio espressionista astratto spinge la scultura oltre i limiti del tangibile, creando opere che si stagliano contro il cielo come manifestazioni della tensione tra ordine e caos. L’acciaio e il legno, nelle sue mani, diventano strumenti di una coreografia industriale, dove ogni forma sembra sfidare le leggi della natura per trovare il proprio equilibrio in uno spazio che vibra di energia latente. Il suo lavoro appartiene contemporaneamente al regno dell’immaginazione e a quello quantico.

Due processi demiurgici per dare vita alla materia bruta

Nel confronto fra Miniucchi e di Suvero, emerge una sottile convergenza di intenti, una ricerca di verità attraverso la materia. Sebbene le loro estetiche divergano – Miniucchi più radicato nella terra, nel peso della storia, nel legame con il paesaggio italiano, di Suvero proiettato verso il cielo, l’industrializzazione e la rinascita urbana americana – entrambi condividono una visione in cui la materia diventa veicolo di significati profondi. Sono maestri di scuole demiurgiche che si basano su diversi rituali, legislazioni e metodi, ma il cui fine è la transustanziazione di ciò che appare come inerte, per celebrare l’osservazione umana che è motore dell’universo.

Miniucchi, con la sua intima relazione con i materiali naturali e industriali, rifletteva sulla condizione umana attraverso la trasformazione della materia. Era un fabbro illuminato e le sue sculture, seppur astratte, sono cariche di memoria e di un senso del sacro legato alla terra. Di Suvero, al contrario, trascende l’ingombro della materia attraverso composizioni che sembrano sfidare la gravità, creando uno spazio visivo che evoca la potenza, le metamorfosi e gli equilibri del mondo naturale, immaginando formazioni, architetture e portali connessi a tempi diversi. Il passato. Il presente. Il futuro. Il sempre. Il mai.

Il fluire del tempo, la fermezza della memoria

Nell’opera dei due artistii, gli elementi si caricano di significati vibranti che trascendono la natura fisica della materia. Le loro sculture sono, in un certo senso, monumenti all’incessante dialogo tra l’uomo, l’ambiente che lo accoglie e il cielo che si promana verso l’infinito. Miniucchi, attraverso il suo lavoro, sembra chiederci di ricordare: la Storia, la memoria, la fatica, il sacrificio. Di Suvero, invece, ci spinge a guardare avanti, a immaginare un futuro che è sempre alternativo, un tempo multiversale in cui la materia si piega all’osservazione e all’artificio, senza tuttavia perdere mai il legame con la sua essenza primordiale. Le vicende della civiltà, le virtù umane di esplorare, scoprire, creare sono evidenti connessioni che uniscono il corpus della loro opera. Non a caso, l’artista italiano diede alle sue sculture titoli ispirati alla Storia e alla mitologia – come la parola etrusca Arim o il nome di un titano: Hyperion – mentre di Suvero attribuisce a suoi lavori nomi ispirati alla poesia o alla musica: Mozart’s Birthday, Beethoven’s Quartet, Neruda’s Gate.

Nelle foto, Neruda’s Gate di Mark di Suvero (dal sito del Comune di Todi) e Arim di Agapito Miniucchi

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