di Roberto Malini
Le Stele figurata di Novilara è un manufatto artistico dell’Età del ferro in pietra arenaria, probabilmente ritrovato, nella seconda metà del XIX secolo, presso la necropoli picena di Novilara (PU). La grande nave che appare nella stele è Argo, la galea greca degli Argonauti, spinta dalla forza delle braccia di rematori disposti su due file o, grazie alla presenza di alberi e vele, da quella del vento. Si è provato ad analizzarla sotto l’aspetto iconografico, ma forse non si sono notati alcuni particolari che la rendono ben riconoscibile. È la nave degli Argonauti, che al termine dell’impresa del Vello d’oro abbandonano la città di Ea, nella Colchide. Per ottenere il Vello, Giasone ha superato alcune difficili prove impostegli dal re Eete. Il monarca, però, ripudia la parola data e si appresta a bruciare Argo. La maga Medea, figlia del re, aiuta l’eroe a conquistare il Vello, ma un enorme mostro, Tifone, è di guardia al prezioso tesoro. Con un incantesimo, Medea addormenta Tifone e Giasone, impadronitosi del Vello, torna con i compagni alla nave, per riprendere la rotta di casa. Re Eete dà ordine ai soldati colchi di inseguire gli Argonauti a bordo di imbarcazioni veloci, per ucciderli e recuperare il Vello, ma ogni volta che un eroe viene ferito, Medea, che è fuggita con loro, lo cura grazie ai suoi incantesimi e alle sue pozioni.
E ora analizziamo la Stele figurata di Novilara, conservata presso il Museo Archeologico Oliveriano di Pesaro. A bordo della galea vediamo una delle due file di eroi-rematori, con Medea in piedi in mezzo a loro. La nave ha appena lasciato il porto di Ea e nell’angolo sinistro scorgiamo le due code di serpente di Tifone, che giace in un sonno incantato. Nell’iconografia antica Tifone era rappresentato con il busto di un gigante alato e due serpenti al posto delle gambe, come mostra, per esempio, un’idria calcidese a figure nere risalente circa al 540 a.C., dove Zeus combatte con il titano. A poppa della grande nave vediamo il Vello d’oro, prezioso bottino degli eroi di Giasone, in mezzo alle due spire: forse il mostro, nel dormiveglia, cerca ancora, invano, di afferrare la preziosa reliquia. Al di sotto della galea appaiono due imbarcazioni, più piccole e rapide, con i soldati di Eete in armi, che l’artista raffigura in visione frontale, all’inseguimento della nave Argo. Un’interpretazione altrettanto suggestiva e coerente potrebbe essere quella dell’arrivo degli Argonauti nella Colchide, con la rappresentazione di Tifone che protegge, tenendolo fra le spire, il Vello d’oro. Poco sotto, la presenza di due imbarcazioni da guerra leggere pronte a intervenire contro Giasone e i suoi nobili compagni.
Ci si potrebbe chiedere come sia giunto nel VII secolo, in area picena, il mito di Giasone e degli Argonauti. In quel periodo i Piceni importavano, attraverso alcuni empori, fra cui quello di Ankón (Ancona), manufatti dalla Grecia, dall’Asia minore e dall’Etruria, dove il mito degli Argonauti era assai diffuso. Un mito che vede la nave Argo e i suoi inseguitori provenienti dalla Colchide attraversare l’Adriatico settentrionale. Il poeta greco Apollonio Rodio inserisce tuttavia l’intero Adriatico, da sud a nord, nella rotta percorsa da Giasone. La leggenda degli Argonauti rappresenta la navigazione mediterranea e i suoi effetti sulla civiltà e per questo era accolta con entusiasmo dalle genti di mare.
Nelle foto, la Stele di Novilara; Giasone e il Vello d’oro su un vaso apulo a figure rosse del IV secolo a.e.v.; Tifone su un’idria calcidese a figure nere del VI secolo a.e.v.