Gli studenti e la cultura: “Il segreto di Andromaca”, testo collettivo

di: studenti del Liceo delle Scienze Umane Piero Gobetti – Genova

Questo elaborato è il frutto di un lavoro collettivo realizzato in classe. Gli studenti, guidati dalla volontà di esprimere idee innovative, hanno scelto passo dopo passo le soluzioni narrative che ritenevano più interessanti in ogni fase della scrittura. L’ispirazione per questo testo è nata in seguito a diverse riflessioni sul tragico tema della violenza sulle donne, un tema che ha offerto spunti profondi per riflettere sul dolore, la resilienza e il coraggio delle donne vittime di abusi.

Il racconto, intitolato Il segreto di Andromaca, intreccia miti antichi e passioni universali, mettendo in scena un momento di crisi e rivelazione in una Troia in tumulto. I protagonisti, divisi tra doveri e sentimenti, si confrontano con verità dolorose che minacciano di sconvolgere il loro mondo, lasciando il lettore a interrogarsi su colpe, perdono e destino.

Il segreto di Andromaca

Ogni guerra porta con sé dolore e segreti. Andromaca ha qualcosa di importante da rivelare a Ettore, qualcosa che potrebbe cambiare tutto. Ma è davvero certo di aver punito il colpevole?

Era una giornata di sole in quel di Troia. La polvere si sollevava, gli uccelli cantavano e, in sottofondo, si sentivano i Greci che si avvicinavano alle mura.

La guerra si era presa una piccola pausa.

Intanto, nella torre di Troia, quella che sovrasta le porte Scee, una voce pronunciava queste parole:

“Sventurato! Il tuo coraggio ti ucciderà. Non hai compassione del tuo bambino né di me?”.

Ettore, dall’elmo lucente, rispose:

“Mi dispiace, Andromaca, ma Ilio è più importante di tutto e di tutti. E soprattutto, non posso lasciare i miei uomini senza di me”.

Passarono alcune ore. Il sole stava calando, i corvi accerchiavano il campo di battaglia. Dentro casa regnava il buio. Nel salone, Astianatte si stava addormentando.

Andromaca, dalla chioma splendente, approfittò di quel momento per parlare in privato con suo marito.
“Ora che ho messo a dormire Astianatte, ho bisogno che tu mi ascolti. Devo parlarti”.

Ettore, scudo saldo e cuore impavido, sbuffò e rispose:

“Mi dispiace, Andromaca, ma non ho tempo da perdere. Il destino mi sta chiamando”.

Andromaca, furiosa, sbottò:

“Ora basta! Mi hai sempre messa in secondo piano rispetto a qualunque altra cosa, e io mi sento ignorata. O mi ascolti, o con me hai chiuso”.

L’atmosfera si fece tesa. Nessuno parlava.

A un certo punto, Ettore mise da parte il suo orgoglio e si sedette. Capì dallo sguardo della moglie che aveva bisogno di essere ascoltata.

“Cara, sono tutto orecchie per te. Sfogati e cercherò di capire. Riconosco il mio carattere egocentrico, ma so anche quanto tu meriti la mia attenzione”.

Ettore, il glorioso, parlava con un tono più pacato di prima

Andromaca si mise vicino a lui, ma la voce della donna sembrava essersi bloccata in gola.

Ettore, scudo saldo nelle battaglie, si sentì confuso

“Andromaca, va tutto bene?” le chiese preoccupato.

Fu in quel momento che Andromaca, la nobile principessa di Tebe, iniziò a raccontare.
Come un torrente che esonda dagli argini dopo un lungo temporale, tra le lacrime disse di come Patroclo, il forte e valoroso, il giorno precedente, l’avesse colta di sorpresa nei pressi delle porte Scee e avesse cercato di abusare di lei. Solo l’arrivo improvviso di alcuni soldati troiani lo aveva costretto a fuggire.
Ettore distolse lo sguardo dalla figlia del re di Tebe e improvvisamente colpì con un calcio una grossa anfora in ceramica, che si ruppe in mille pezzi. Non proferì parola, perché tutto quello che voleva dire era già racchiuso nel suo sguardo.
L’atmosfera era carica di sgomento, rabbia, tensione e sete di vendetta.

Passarono tre giorni da quella terribile rivelazione, giorni lunghissimi, che videro il ferimento di molti soldati achei e troiani.

Patroclo, colpito prima da Apollo e poi da Euforbo, mentre cercava riparo tra le file dei soldati achei, venne raggiunto da Ettore, che con la lancia gli trapassò il ventre da parte a parte.

“Patroclo, tu pensavi di distruggere la mia città, di rendere schiave le donne troiane e portarle alla tua terra con le navi. Sciocco! Sono qui per difendere Ilio dalle alte mura, ma sono qui soprattutto per farti pagare col sangue ciò che hai fatto a mia moglie! Scaglierò la tua anima nell’Ade con tutta la forza che ho in corpo, fosse l’ultima cosa che faccio!”.

Patroclo, ansimante a terra, con quella poca forza che gli restava, disse ad Ettore:
“Guerriero dall’elmo splendente, per quanto tu sia mio nemico ed io ti odi, non mi abbasserei mai a tali livelli”.

Ettore allora gridò, ardendo d’ira:

“Bugiardo! Quanto ancora vuoi mentirmi? Dimmi la verità e le tue sofferenze saranno brevi!”.

Patroclo, ormai più nell’Ade che nel mondo degli uomini, gridò con le sue ultime forze:

“Non sono stato io!”.

Detto questo, esalò il suo ultimo respiro di fronte ad Ettore, che lo osservava dall’alto con sguardo trionfale e disgustato.

Tornato di fronte alle porte Scee della città, Ettore vide sua moglie Andromaca corrergli incontro per poi abbracciarlo con tutte le sue forze, proferendo qualche parola in un mare di singhiozzi:
“Grazie, Ettore… grazie di amarmi”.

Ettore le rispose:

“Andromaca, finché avrò forza in me, farò di tutto per proteggerti”.

Ma nel profondo del suo cuore, un dubbio lo tormentava. Se Patroclo non era stato il colpevole… allora chi era stato?

Nella foto, cratere apulo a colonnette e figure rosse con Ettore, Andromaca e Astianatte, 400-375 a.C., Ruvo di Puglia, Museo Archeologico Nazionale

Leave a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *