di Roberto Malini
Due operai in terapia intensiva, ustioni gravi, una raffineria sequestrata. È successo ad Augusta lo scorso 11 aprile, all’interno del polo petrolchimico siracusano, in un’azienda che vanta gli standard di sicurezza più elevati. L’ipotesi è quella che conosciamo fin troppo bene: una fuga di gas, probabilmente butano, un errore umano, una scintilla. E il fuoco divampa.
Il butano, lo ricordiamo, è meno pericoloso del metano, soprattutto di quello liquefatto (GNL), che viene conservato e movimentato a -160 °C in condizioni estreme, ed è soggetto a fenomeni di vaporizzazione esplosiva. Eppure, anche il butano, in un sistema di sicurezza rodato, ha dimostrato quanto poco basti per trasformare un’operazione ordinaria in una tragedia.
Nel frattempo, a Pesaro, in un clima grottesco fatto di silenzi istituzionali, distrazione mediatica e aggressività progettuale, il progetto di un impianto di liquefazione del metano avanza. Avanza, pur in presenza di criticità segnalate dai cittadini, da esperti, da comitati, da ricorsi giuridici fondati su violazioni ambientali, sismiche, sanitarie e idrogeologiche. Avanza, sospinto da una montagna di denaro che acceca più d’un amministratore.
Le normative, qui, sembrano carta sbiadita. Le considerazioni ambientali, un ingombro. La salute pubblica, una voce fuori campo. Eppure ogni settimana l’Italia, l’Europa, il mondo ci mostrano cos’è il rischio reale legato ai combustibili fossili. L’incidente di Augusta si aggiunge a una lunga lista: raffinerie, impianti di stoccaggio, navi metaniere, terminal portuali, tutte realtà in cui la sicurezza – pur massima – può crollare in un attimo per un errore umano, una falla, una casualità. E quando accade, le conseguenze sono devastanti.
A Pesaro, l’impianto progettato sorgerebbe a meno di un chilometro dal centro storico, in un’area esposta a rischio sismico e alluvionale. In caso di incendio, i nostri eccezionali Vigili del Fuoco – che tanto hanno fatto anche nella notte scorsa a Pesaro, in zona industriale – non potrebbero far nulla. Le alte pressioni, la volatilità del GNL, l’imprevedibilità del vento, l’effetto domino renderebbero inattuabile qualsiasi intervento. In caso di sisma o alluvione, come potranno i soccorritori intervenire in un’area blindata dal pericolo e inaccessibile per giorni?
Questo non è allarmismo: è realismo.
Non possiamo continuare a fingere che il problema non esista. I cittadini hanno diritto a risposte, a scelte trasparenti, a protezione. Non bastano rassicurazioni generiche o dichiarazioni tecniche nelle conferenze stampa. Serve una decisione politica chiara. Perché quando si tratta della sicurezza pubblica, del diritto alla salute e alla vita, il silenzio delle istituzioni è complice.
Il caso di Augusta ce lo ricorda con la forza bruciante della cronaca. Ora sta a noi decidere da che parte stare.