di Wisława Szymborska (Trad. R. Malini) C’è una poesia di Wisława Szymborska (1923-2012) che ho tradotto qualche tempo fa e che, secondo me, rappresenta bene quanto sia influente la politica nelle nostre vite. Ed esprime compiutamente quante cose accadano mentre noi professiamo di appartenere a un’ideologia piuttosto che a un’altra, senza maturarne una nostra personale, che non preveda adesione assoluta a fazioni, ma solo a ciò che è vero e giusto. Siamo figli del nostro tempo, un tempo politico. Tutto il giorno e tutta la notte, gli affari—tuoi, nostri, loro— sono affari politici. Che tu lo voglia o meno, i tuoi geni hanno un passato politico, la tua pelle un’ombra politica, i tuoi occhi un’inclinazione politica. Qualunque cosa tu dica, risuona, qualunque cosa tu taccia, si esprime comunque. In un modo o nell’altro, fai politica. Anche se ti addentri nei boschi, muovi passi politici in radure politiche. Le poesie apolitiche sono anch’esse politiche, e sopra di noi brilla una luna che ormai non è più solo luna. Essere o non essere, questo è il problema. E anche se turba la buona digestione, è una domanda, anch’essa, politica. Per acquisire un significato politico non devi nemmeno essere umano. Basta materia bruta o cibo proteico o petrolio greggio o un tavolo per trattare, la cui forma è stata dibattuta per mesi: dobbiamo discutere di vita e morte su un tavolo rotondo o quadrato? Intanto, le persone perivano, gli animali morivano, le case bruciavano, e i campi inselvatichivano come nei tempi remoti e meno politici.