di Roberto Malini (un grazie a Letizia Francesconi e al Corriere Adriatico)
Oggi sul Corriere Adriatico è uscito un articolo, con titolo a caratteri cubitali in prima pagina: “Tesoro a Palazzo Scattolari”. Il pezzo è dedicato ai ritrovamenti archeologici durante i lavori in via Bonamini fra Palazzo Scattolari (XVII secolo) e Palazzo Aymonino, quest’ultimo in via Mazza. Il testo potrebbe apparire a qualcuno come un po’ iperbolico: parlare di “tesori” rispetto a ritrovamenti antichi, sì, ma piuttosto semplici: una viottola in ciottoli, qualche rovina di edifici del XVI secolo…
Tuttavia, mi sono complimentato con la giornalista Letizia Francesconi e con la redazione del quotidiano, sempre attento alla nostra cultura. Dopo tanti interventi che hanno annichilito i nostri beni culturali, ora è bene considerare preziosa ogni pietra antica che emerga da un lavoro edile o da uno scavo.
Se pensiamo che stanno progettando di rimuovere dall’ex convento San Domenico alcuni affreschi trecenteschi per “proseguire con i lavori”, come riporta il Resto del Carlino di oggi, possiamo renderci conto di quanto siamo ancora arretrati e disattenti nella tutela delle architetture e delle opere d’arte. A Pesaro abbiamo ben poche tracce del Trecento in pittura e forse sarebbe il caso di ripensare l’idea di spogliare l’edificio dagli affreschi che ne fanno parte e che sono una nostra memoria, identità e ricchezza.
Tornando al “tesoro” di via Bonamini, abbiamo rilevato in quel piccolo sito – che è stato scavato a cura dell’ERAP per le fondamenta di un edificio che, nelle previsioni, dovrà contenere tre alloggi in edilizia sociale – le tracce storiche cui ho fatto cenno qui sopra. Fra di esse, un pavimento stradale antico, a ciottoli, precedente al XVII secolo (epoca della costruzione di Palazzo Scattolari) e resti di un edificio anch’esso precedente a Palazzo Scattolari. Inoltre, abbiamo notato che si è scavato, in un punto, anche più in profondità, forse alla ricerca di tracce romane. Purtroppo è impossibile, per noi, accedere al sito direttamente per analizzare di persona i resti storici. Così abbiamo allertato la Soprintendenza chiedendo che si fermino i lavori, per non danneggiare l’area archeologica. Sembra che, almeno a quanto abbiamo visto in questi giorni, i lavori edilizi siano effettivamente bloccati. Poi abbiamo chiesto che il sito divenga di interesse storico per la Soprintendenza, che lo si segnali con un cartello presso il cantiere e che si inizino lavori di analisi archeologica, georilevazioni e magari un ampliamento dello scavo.
Abbiamo anche notato come Palazzo Aymonino di via Mazza, il brutto complesso realizzato dall’architetto Carlo Aymonino tra il 1978 e il 1979, non abbia tenuto conto dei rilevamenti archeologici e come allora la Soprintendenza abbia chiuso uno o tutti e due gli occhi e non sia intervenuta a fermare i lavori. Peccato, perché sicuramente furono trovati resti importanti, meritevoli di approfondimenti prima delle colate di cemento aymoniniane. Cemento che è presente anche in via Bonamini, attorno al piccolo scavo, a dimostrazione di come i nostri valori culturali siano stati troppo spesso sacrificati al business edilizio.
Non solo io e “Pesaro pensa”, ma tanti studiosi e attivisti di Pesaro trovano inconcepibile che si continui a cementificare il centro storico, coprendo di brutture le tracce della nostra storia. I progetti più moderni di edilizia popolare, a livello internazionale, prevedono che essa non sia “ghettizzata” in zone definite, ma diffusa nelle città. Invece si continua sulla linea della trasformazione di complessi architettonici antichi in condomini sociali – oltretutto antieconomici, visti gli enormi costi di trasformazione edilizia – e presto vedremo cementificare e svalorizzare, come sappiamo, l’ala posteriore di Palazzo Almerici, il Complesso della Misericordia, il San Benedetto e altri palazzi storici di Pesaro. Si creano – dicono bene i cittadini – ghetti, che fra l’altro avranno costi enormi anche in termini di manutenzione, annientando il nostro patrimonio culturale. Alle “Zoccolette” per esempio un mini-appartamento di 35 metri quadrati, vero e proprio loculo, costerà alle istituzioni oltre 350 mila euro. Inaccettabile: con quel denaro si potrebbero risolvere le emergenze abitative di numerose famiglie. Ecco perché chiediamo da tanto tempo alle istituzioni di cambiare strada, preservare i beni culturali e non gettare al vento una montagna di denaro che potrebbe essere speso meglio.
Ora, da parte mia e di altri attivisti culturali, i cui nomi ricorrono spesso nei gruppi Facebook “Pesaro città d’arte e cultura” (formidabile punto di riferimento per la cultura e l’arte cittadina), “Pesaro pensa”, “Salviamo il centro storico” e altri, rinnoviamo l’appello ala Soprintendenza: è necessario operare a contatto con la società civile, con i cittadini che difendono i beni culturali ed è necessario intervenire, anche quando si tratta di “quattro vecchi sassi”. Dietri i “sassi” e al di sotto di essi ci sono… le nostre radici. E, per restare a un tema di attualità, evitiamo di staccare i preziosi affreschi trecenteschi dall’ex convento San Domenico prima di averli studiati e di aver pensato bene se sia davvero il caso di separarli dal complesso architettonico, cui sono uniti da legami storici e culturali. Si faccia in modo che anche noi attivisti culturali possiamo vederli e studiarli insieme agli esperti ella Soprintendenza, per avere un quadro più ricco del loro valore e della loro collocazione nella Storia dell’arte.
Dal Corriere Adriatico del 14 novembre 2024