un ricordo di Roberto Malini
Pesaro, 30 novembre 2024. Carlo Migani, nato a Cattolica nel 1951, se n’è andato lasciando un vuoto nella cultura italiana, ma anche un segno indelebile nel panorama artistico. Cresciuto tra i vicoli e le atmosfere di Rimini, impregnate dell’immaginario felliniano e delle suggestioni poetiche di Tonino Guerra, Migani incarnava l’essenza di un artista profondamente radicato nella sua terra, ma capace di proiettarsi oltre i confini regionali, verso un’arte universale e senza tempo.
Alla fine degli anni ’60, Urbino divenne la sua seconda patria, una città che non fu solo luogo di formazione, ma anche un orizzonte creativo dove respirare l’arte in ogni suo aspetto. Qui, tra le aule della celebre Scuola del Libro, Migani si formò sotto l’influenza di maestri illustri come Pietro Sanchini e Carlo Ceci, trovando ispirazione nei tratti incisivi di Leonardo Castellani e Umberto Franci, e assimilando la sensibilità narrativa di Francesco Carnevali. Urbino, con il fermento culturale degli anni ’70, gli offrì un palcoscenico vivo: accanto ai dibattiti filosofici di Umberto Eco, alle messe in scena di Dario Fo e Carmelo Bene, e ai canti poetici di Francesco Guccini, Migani trovò la linfa per alimentare una ricerca artistica che avrebbe spaziato tra tecniche e linguaggi.
Un’arte multiforme, una narrazione raffinata
Carlo Migani non era semplicemente un artista: era un narratore che intrecciava immagini e parole. Incisore, fumettista, pittore, cesellatore e scultore, portava in ogni opera una narrativa sottile, un filo che legava la tradizione con l’innovazione. La sua produzione includeva serigrafie per i più grandi maestri del Novecento e opere originali come le acqueforti pubblicate dalle Edizioni del Punto Grafico.
Ma forse fu il fumetto a rappresentare il cuore pulsante della sua creatività. In “Cuore di nebbia” (1995) e nel più recente “Stupefacente Figura” dedicato a Raffaello, Migani dimostrò una capacità unica di raccontare storie attraverso il disegno, intrecciando la precisione del tratto con un’immaginazione letteraria. Ogni pagina, ogni vignetta era un ponte tra realtà e fantasia, dove la matita diventava strumento di esplorazione e riflessione.
Maestro e custode di tradizioni
Nonostante il successo personale, Migani non smise mai di trasmettere il suo sapere. Insegnava con passione Arti della Stampa presso la Corte della Miniera di Urbino, guidava corsi di Storia dell’Arte e Tecniche Figurative, e contribuiva a formare nuove generazioni di artisti, convinto che l’arte non fosse solo un dono, ma una responsabilità da condividere.
Un’eredità oltre il tempo
Immerso nel paesaggio di Castelcavallino, con la romanica Pieve di Fra Carnevale a vegliare su di lui, Carlo Migani trovò una dimensione di pace creativa, ma non di isolamento. Ogni suo lavoro era un dialogo con il passato, un omaggio alle radici, e insieme un invito a immaginare il futuro.
Con la sua scomparsa, non perdiamo solo un artista poliedrico, ma un raffinato interprete dell’anima italiana, capace di trasformare la memoria in visione. La sua arte, come le sue storie, continuerà a parlarci, offrendo nuovi passaggi per attraversare il tempo e l’immaginazione.