di Nicolò Scialfa
« Toccava i cinquant’anni; forte di corporatura, asciutto di corpo, e di viso; si alzava di buon mattino, ed era amico della caccia […] Negli intervalli di tempo nei quali era in ozio (ch’eran la maggior parte dell’anno), si applicava alla lettura dei libri di cavalleria con predilezione così spiegata e così grande compiacenza, che obliò quasi interamente l’esercizio della caccia ed anche l’amministrazione delle cose domestiche. »
Don Chisciotte della Mancia (titolo originale El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha) di Miguel de Cervantes Saavedra. Tra le opere più importanti della storia della letteratura mondiale. Personaggi famosissimi e assai orecchiati ma libro complesso e profondo, fusione di due opere scritte a dieci anni di distanza, 1605 il primo e 1615 il secondo. Siglo de oro, ironia e profondo dolore, senso del declino di un immenso impero, prigionia e condizioni di vita durissime. Come spesso accade ai grandi romanzi la popolarità supera la comprensione autentica. Da leggere con molte precauzioni e con la deferenza dovuta a ciò che è più grande di noi. Primo libro ondivago, pesante ed esplosivo; secondo più coerente, compatto e statico. Manifesto di critica letteraria contro gli stereotipi dei testi cavallereschi, raffinato gioco di specchi tra realtà e finzione, metaromanzo, indagatori segreti, personaggi che evolvono continuamente, presa di coscienza del Don che però rifiuta la realtà e inventa incantamenti e sortilegi malvagi. Alla fine la disillusione di Alonso Chisciano (vero nome del Don) e l’attesa della morte. Fine del sogno e irruzione violenta della modernità. Discrasia tra ideale e reale, senso del tragico, comico, sogno, follia, Don Chisciotte… questo è il percorso. Secondo Miguel De Unamuno, filosofo del tragico e simbolo stesso della cultura spagnola, Don Chisciotte è il chisciottismo del sentimento tragico della vita. Come Sigismondo di Calderon De la Barca vive la vita come un sogno e il sogno come vita in modo estremo sino all’approdo all’irrealismo magico. La verità si dissocia dalla realtà e vince tramite la follia. Visione emotiva, etico-estetica dell’esistenza e convinzione della superiorità dell’inutile sull’utile. Si vince veramente quando si perde tutto. L’amore è ciò che di più tragico esiste al mondo perché è figlio di inganno e disinganno come bene ha scritto Leopardi. Persino Dio è un sogno ma diviene vero perché i sogni ci consentono di vivere e quindi diventano reali. In Don Chisciotte esiste un’ansia di vita eterna, un soggettivismo eroico che contrasta la visione disperata dell’esistenza. Tradizione eterna spagnola e denuncia dello squallore moderno privo di sacro e di sogno. Don Chisciotte come Vangelo dell’hispanidad è l’altra faccia dell’utopia rivoluzionaria moderna. Così si comprende la vera essenza culturale ed etnostorica della terribile guerra civile spagnola, con la sottile differenza che Don Chisciotte paga di persona il prezzo dei propri sogni mentre altri utopisti hanno generato sofferenza, violenza e bagni di sangue. Echi dei demoni di Dostoevskij, consapevolezza che alla gloria fondata sui massacri è di gran lunga preferibile la gloria letteraria, l’amore di Dulcinea, la stima dei lettori, la dedizione di tutti gli animi sensibili che si rifugiano nell’ultimo bene che oggi è rimasto: l’illusione della letteratura… l’unica vera realtà. Grazie alla follia di Don Chisciotte possiamo salvarci. Non a caso secondo Milan Kundera con Il Don Chisciotte di Cervantes nasce il romanzo moderno, il passaggio dal mondo eroico alla quotidianità dell’esperienza umana. Occorre molto coraggio per vivere un’esistenza “normale”.