di Nicolò Scialfa
Alexis Charles de Tocqueville nasce a Parigi il 29 luglio 1805 da Louise Rosambo, nipote di Malesherbes – difensore di Luigi XVI – e di Hervé de Tocqueville. Frequenta il collegio di Metz, città dove suo padre è prefetto nel 1817. Dal 1820 al 1826, Alexis compie studi di diritto, quindi viaggia in Italia dal 1826 a 1827. Scrive il suo Voyage en Sicile, una prova generale del suo viaggio in America. A differenza dei viaggiatori che lo hanno preceduto nel classico Grand Tour, resta impassibile davanti al paesaggio naturalistico e artistico, ma è lucidissimo nella descrizione del paesaggio morale, istituzionale, giuridico, economico. Denuncia la natura immobilista del latifondo siciliano, preconizza la piccola proprietà contadina e parla di allargamento della base democratica dell’Isola. Diviene magistrato. Si lega di profonda amicizia con Gustave de Beaumont, figlio di una famiglia nobile di Tours. Nel 1828, incontra Mary Mottley, una giovane inglese protestante, che sposerà a Parigi nel 1836. Pur essendo legittimista presta giuramento a Luigi Filippo e viene inviato in America per studiare il sistema carcerario, possibile modello in sostituzione del vecchio sistema francese. In realtà Tocqueville, come si evince dalla sua corrispondenza, vuole studiare il sistema politico. Parte con Beaumont nel maggio del 1831 e visitano New York, Boston, Filadelfia, Baltimora e Washington, spingendosi poi in Canada e nella zona del Mississippi. I due amici sono impressionati dalle libertà pubbliche e dall’attività instancabile degli uomini del Nuovo Mondo. La pubblicazione del libro “Del sistema penitenziario negli Stati Uniti” e della sua applicazione in Francia nel 1833 costa a Beaumont l’incarico di sostituto presso il tribunale della Seine. Per solidarietà si dimette anche Tocqueville dal posto di giudice supplente. Nel 1835 scrive “Della democrazia in America”, palesando entusiasmo per il sistema americano. Cinque anni dopo scrive il secondo volume nel quale presenta i rischi connessi allo sviluppo della democrazia – anarchia e servitù – ma soprattutto la constatazione che la società democratica lascia il cittadino ordinario privo di mezzi davanti allo Stato con l’aggravante della centralizzazione esasperata. Da qui il pericolo dal Dispotismo. Partecipa attivamente alla vita politica ricoprendo incarichi importanti. Combatte il Socialismo fondato sull’abolizione della proprietà privata, per lui bene sacro. Percepisce il futuro crollo della Seconda Repubblica e in un famoso discorso del 1849 dirà “siamo seduti su un vulcano”. Arrestato in occasione del colpo di Stato del 2 dicembre 1851, mette fine alla sua vita politica e scrive “L’Ancien Régime e la rivoluzione”. Critica l’aristocrazia francese che non ha saputo rinnovarsi ed elogia quella inglese. Muore il 16 aprile 1859.
Un grande liberale animato da un forte senso di giustizia, mente lucidissima ed equilibrata, studioso brillante ed infaticabile, vero uomo politico di spessore. Nutriva orrore per la rivoluzione e per il disordine in genere pur essendo convinto che le disuguaglianze sociali andassero gradualmente colmate. Nemico del populismo e della demagogia, vero interprete della Politica come scienza del benessere umano. Nemico di qualsiasi forma di tirannia. Comprende in modo lucido che nel futuro ci saranno soltanto due governi possibili: o «un tipo di società nel quale tutti avranno parte attiva negli affari politici», ossia uno Stato democratico, o la tirannia, l’assoggettamento di tutti ad uno solo, di cui l’Impero ne è un esempio. Occorre quindi trovare una via originale, sulla base della distinzione tra democrazia e rivoluzione. Ecco perché il modello americano va studiato. “Poiché, se occorre a qualsiasi prezzo evitare una nuova rivoluzione, il contributo di quella del 1789, in particolare l’opera delle prime due Assemblee – seguita certo dall’orrore dei massacri e della tirannia – resta insostituibile. La specificità americana risiede nel fatto che negli Stati Uniti la democrazia regna nella società civile e nella politica, mentre la Francia conosce regimi democratici soltanto nella società civile: restando la politica soggetta all’aristocrazia”. Il grande valore degli Stati Uniti rispetto all’Inghilterra e rispetto alla Francia, risiede nell’aver conseguito una rivoluzione democratica radicale senza violenza. Tocqueville non è un ammiratore senza condizioni del sistema americano; la democrazia comporta infatti un rischio permanente, quello della “tirannia della maggioranza”.
Spiega inoltre quali sono i rischi che corre la società americana sospesa tra la libertà e la democrazia e insiste anche sulla base originariamente religiosa, la fede profonda e la pratica individuale della religione cristiana (protestante) della società americana. Ritiene che l’aspetto negativo della rivoluzione risieda nel fatto «di avere considerato il cittadino in modo astratto», ragionando in ciò come la religione, che considera l’uomo fuori da ogni contesto storico e sociale e pone l’accento sull’altro nemico della democrazia, il centralismo amministrativo, frutto avvelenato del giacobinismo estremista. Tocqueville si mostra nemico di qualsiasi rivoluzione nella misura in cui essa conduce alla tirannia ed alla guerra. Un pensatore esemplare per il suo spirito autonomo e per la chiarezza con la quale ha analizzato un’epoca minacciata dal dispotismo. Un anticipatore geniale dei drammi novecenteschi, uno degli interpreti più acuti dei processi di modernizzazione sociale, politica e culturale del mondo moderno. Amante della libertà e nemico di ogni forma di dispotismo. “Ho per le istituzioni democratiche un gusto della mente, ma sono aristocratico per istinto […]”, “Non sono né del partito rivoluzionario, né del partito conservatore […]”, “Ero così ben in equilibrio tra il passato e l’avvenire da non sentirmi naturalmente e istintivamente attratto né verso l’uno né verso l’altro, e non ho affatto avuto bisogno di grandi sforzi per gettare uno sguardo tranquillo dalle due parti”. Un attento studioso, critico e preoccupato, della Modernità, sospettoso di quanti contrabbandino una presunta “superiorità etica”. Democrazia, uguaglianza, individualismo moderno sono i termini della discussione. L’individualismo è assai pericoloso dal momento che sconfina nel nichilismo e nella solitudine esistenziale a causa dell’indebolimento della coesione sociale, del senso di appartenenza a una comunità.
Anche la libertà è minacciata a causa del pericolo di un nuovo tipo di dispotismo, un “dispotismo dolce”, che si installa al di sopra “della folla innumerevole di uomini simili ed eguali immersi nel perseguimento dei loro piccoli e volgari piaceri”, ai quali sacrificano senza rimorsi libertà e virtù. Mentre l’Ancien régime consuma il suo tramonto, negli Stati Uniti Tocqueville individua tutti gli elementi salienti dell’epoca democratica: “l’amore appassionato per l’uguaglianza, quello, più intermittente per la libertà, il gusto del benessere materiale, l’inquietudine costante per la propria posizione sociale e l’ansia del riconoscimento, la scarsa considerazione per le occupazioni intellettuali, se prive di ricadute pratiche immediate, il prevalere della razionalità strumentale, il ripiegamento affettivo su una ristretta cerchia di famigliari e amici, la tendenziale indifferenza per le virtù civiche e, in verità, per la virtù in generale… Senza istituzioni comunali una nazione può dotarsi di un governo libero ma non avrà mai lo spirito della libertà”. Notevole anche la critica dell’“opinione comune” vera e propria forma di tirannia moderna dove il parere, magari sbagliato di una moltitudine, assume un valore dispotico rispetto al parere assennato di una minoranza “questa uguaglianza che rende l’uomo indipendente da ciascuno dei suoi concittadini individualmente preso, lo lascia isolato ed esposto senza difesa a l’azione della maggioranza… negli Stati Uniti la maggioranza si incarica di fornire agli individui una folla di opinioni già pronte, sollevandoli così dall’obbligo di formarsene di proprie… Personalmente dubito che l’uomo possa mai sopportare, a un tempo, una completa indipendenza religiosa ed un’intera libertà politica. E sono anche indotto a pensare che, se non ha fede, occorre che obbedisca, mentre, se è libero, è necessario che creda… Nel movimento continuo che agita la società democratica, il legame che unisce le generazioni tra loro si allenta o si spezza. Ciascuno smarrisce le tracce delle idee dei suoi antenati o non se ne preoccupa affatto”.
Per Tocqueville la libertà politica è l’unico antidoto contro i rischi di una dissennata eguaglianza che potrebbe sconfinare (sic!) nel totalitarismo. Uguaglianza senza strumenti culturali serve soltanto ai demagoghi.