di Nicolò Scialfa
La Scuola di Atene è un affresco (770×500 cm circa) di Raffaello Sanzio, realizzato tra il 1509 e il 1511 nella Stanza della Segnatura, una delle quattro “Stanze Vaticane” dei Palazzi Apostolici. Giulio II ripone fiducia illimitata in Raffaello e gli commissiona questa grandiosa opera. Sono presenti i grandi filosofi antichi con sembianze di contemporanei. Platone-Leonardo indica il mondo iperuranio, Aristotele-Sangallo indica il mondo fenomenico, Eraclito-Michelangelo, Euclide-Bramante e via di seguito… autoritratto di Raffaello di sfuggita. L’efebo biancovestito è la Kalokagathia (Bellezza e bontà). < Il personaggio sulla sinistra, di fianco a Parmenide, dai tratti efebici, biancovestito e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, è di identificazione controversa, anche se una identificazione generalmente accettata è quella di Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II, che all’epoca del dipinto si trovava a Roma e ai cui servigi Raffaello doveva forse la venuta a Roma. Secondo l’ipotesi di Giovanni Reale questa figura biancovestita è un simbolo emblematico dell’efebo greco ovvero della “bellezza/bontà”: « L’interpretazione di questa figura è particolarmente difficile, e da alcuni è stata del tutto fraintesa in vari sensi. Una tradizione ci dice che Raffaello avrebbe riprodotto il viso di Francesco Maria della Rovere; ma alcuni interpreti contestano la veridicità di questa tradizione. Ciò che occorre comprendere non è tanto se Raffaello abbia riprodotto le sembianze di Francesco Maria della Rovere, ma piuttosto che cosa abbia voluto esprimere con quel personaggio. [… C’è] una corrispondenza (non solo nella configurazione ma anche nella posizione) di questo personaggio con quello dell’angelo senza ali in vesti umane nell’affresco della Disputa. […] Il bel giovane biancovestito, in atteggiamento quasi ieratico, è un simbolo emblematico dell’efebo greco che coltiva la filosofia e incarna la greca kalokagathia, ossia la “bellezza/bontà”, ideale supremo di uomo virtuoso per lo spirito ellenico. » (Giovanni Reale, La scuola di Atene di Raffaello, Bompiani, Milano 2005, pagg. 65-8.)Secondo alcuni potrebbe essere Ipazia. Summa del pensiero greco, ironia continua dell’autore, mescolanza di sacro e profano, silloge di altissima cultura, raffinatezza estrema… il meglio del mondo occidentale dipinto da un artista bon vivant, la cui concezione del bello platonico ha incarnato per secoli il bello del senso comune. Esoterismo, orfismo, culto di Euridice, significati nascosti, tecnica eccelsa, capacità di sintesi, volontà di stupire lo spettatore, esaltazione della potenza culturale della Chiesa romana poco prima della tempesta luterana. I lanzi nel 1527 faranno danno ma Raffaello non assisterà allo scempio. Muore il 6 aprile 1520, a soli 37 anni, nel giorno di Venerdì Santo. Secondo Vasari la morte sopraggiunse dopo quindici giorni di malattia, iniziatasi con una febbre “continua e acuta”, causata secondo il biografo da “eccessi amorosi”, e inutilmente curata con ripetuti salassi.