di Giorgio Ghiotti
È uscito per Kinetès il nuovo libro di Antonella Rizzo, Il fazzoletto di stoffa, un libro di brevi prose i cui personaggi centrali sono donne. Ne scrive magistralmente Giorgio Ghiotti nella sua prefazione.
“Può succedere in un attimo quello che non è successo in una vita, pensa la donna volgendo le spalle al destino.” Così pensano (o agiscono come se lo pensassero) le ragazze, le donne, protagoniste del bellissimo libro di racconti di Antonella Rizzo Il fazzoletto di stoffa.
Sono, questi racconti brevi e folgoranti, quasi monologhi teatrali o radiodrammi. Del dettato teatrale posseggono la forza, la grazia, la costruzione di un’attesa che non è importante vedere soddisfatta, importante è prendervi parte. Ma cosa aspettano esattamente i personaggi di Rizzo? Olivia attende che, stagione dopo stagione, tornino le giornate al mare della sua adolescenza, ore infinite passate a studiare gli sguardi, a fare progetti, a fare e disfare amicizie e amori mentre una data, in calce a un foglio, avvisa che il tempo passa anche per le eterne ragazze dell’estate, che la giovinezza è un foglio da riempire coi ricordi perché non sbiadiscono il colore.
C’è poi Anastasia, discendente dei Romanov – è vero? è falso? tutto è vero e tutto è mentito in questo libro, come dev’essere con la buona letteratura –, Anastasia che si figura il ritorno a casa come il sogno più dolce, tra pareti e stanze di palazzo mute alle quali accostare un orecchio per sentire le storie nuovamente emergere.
E che dire di Venere, viva sotto gli occhi degli altri, sempre uomini, una vita intera spesa a farsi ritrarre e capita davvero solo da Freud? È lei a riflettere sulla bellezza, una bellezza della quale spesso è stata espropriata, e che continua nonostante tutto a generare, valutandone potenza e insidie con un accorato e lucidissimo ragionamento.
È Paola a sentirsi perennemente nel Giorno del Giudizio, soprattutto quando parla insieme alla sua amica del cuore di sesso, uomini, amore, meccanica e idraulica del cuore umano, del cuore femminile, di corpi che sono ingranaggi complessi e misteriosi e a volte arrugginiscono per uno scoppio di pianto improvviso (di allegria, di dolore, di stupore); allora, mette in guardia Rizzo, “Devi cercare l’uomo che porta con sé il fazzoletto di stoffa”, perché possa estrarlo all’occorrenza e asciugarti in viso la prima lacrima di commozione.
In un certo senso, sfilano in questi racconti “casi clinici da manuale”; ma come in ogni manuale che si rispetti, come nella più seria delle discipline, le donne di Antonella Rizzo sono, più che l’eccezione a confermare la regola, la conferma che nessun manuale, nessun libro potrà mai contenere intero l’animo multiforme e mutevole di una creatura. Soprattutto se quella creatura è sfrontata, spigolosa, irresistibile come quelle che pascolano, liete e ossessive, quasi dandosi la mano ma solo il tempo della consegna di testimone – una staffetta corsa a cento all’ora –, in questo libro.
Si resta felicemente incantati e ammirati dalla capacità dell’autrice di ibridare narrazione e riflessione, invenzione e respiro saggistico. Sbaglierei se non inserissi a questo punto una chiosa: Antonella Rizzo non innesta nel suo raccontare della saggistica come comunemente la intendiamo; è saggio il suo sguardo, e netto il suo taglio sul mondo. Non c’è l’ombra di precetto, o di consiglio per bene vivere; c’è se mai l’esperienza nitida di chi è abituata a guardare le cose con l’attenzione e il senso altissimo della poesia (ricordo che Rizzo è anche, oltre che prosatrice di valore, ottima poeta) e, laddove il passo potrebbe altrimenti affaticarsi, ecco che subito irrompe l’ironia, che è il più difficile e il più serio dei registri, e che solo i veri scrittori e le vere scrittrici riescono a esercitare senza incorrere nelle molte insidie del volgare ridere.
Il fazzoletto di stoffa è un libro di voci, e dunque di fantasmi. Allora diciamo pure che tutta la letteratura, come la radio, è fatta di fantasmi, voci che innalzano mondi, scene, momenti. È come se, in questi racconti, ci fosse un’altra voce costantemente presente, come una traccia fantasma, oltre a quella delle protagoniste che si raccontano, una voce che sussurra loro di continuo come a suggerire le parole giuste, a selezionare ricordi e volti, tracce, gesti. È la voce che chiede di andare avanti, di raccontare ancora, ancora, fino a distrarsi dal mondo – una sorta di promessa: vòltati e vedrai quanta terra, quanto mare, quanto cielo può esserci dall’altra parte. Vedere la vita di fronte o di spalle è solo questione di prospettiva, e la prospettiva (ne sono un esempio le storie qui raccolte) è una scelta da rinnovare ogni giorno per decidere cosa lasciare alle spalle, verso cosa andare incontro.