di Roberto Malini
Il marmo e il bronzo al naturale, con le sue diverse patine. Questi sono per noi non solo i materiali, ma anche i colori dell’arte greca e romana. Sulla purezza del bianco e sui riflessi del bronzo il Rinascimento ha posto le basi del suo paradigma di bellezza. Lo stesso Winckelmann era innamorato della forma senza colore dell’arte degli antichi maestri e la nostra stessa cultura ha radici in quella dimensione acromatica. Le tracce di pigmento rillevate su alcune sculture non ha cambiato il nostro approccio all’arte greca, il nostro sogno rivolto alla sua bellezza. Da più di vent’anni un archeologo tedesco, Vinzenz Brinkmann, svolge opera di ricerca e divulgazione in senso opposto, insistendo sull’ormai comprovata policromia dell’arte antica. Con strumenti di indagine che fanno parte della dotazione di ogni archeologo si è messo sulle tracce della pittura che ricopriva sempre la scultura greca e romana, analizzando pigmenti e superfici rese sgargianti da strati di pittura. Quindi ha creato copie dei capolavori greci e romani, presentandoli in una ricostruzione cromatica da lui stesso effettuata, tritando colori naturali e polveri minerali, come facevano i pittori dell’età classica. La sua mostra ha avuto la sua prima inaugurazione nel 2003, presso il Museo Glyptothek di Monaco di Baviera; successivamente si è spostata ad Amsterdam, Copenaghen, Roma, Los Angeles e molte altre città, sollevando grande curiosità e interesse.
E noi, dobbiamo considerare attendibili e precise, le sculture colorate da Brinkmann? Prima di rispondere, due aspetti vanno presi in considerazione. Il primo è che non abbiamo sufficienti reperti colorati ereditati dall’arte grecoromana. Abbiamo materiale di analisi e studio, ma non siamo in grado, per ora, di capire quale fosse l’impatto di un’opera totalmente dipinta, con colori puri e sfumature. Il secondo, che la percezione della bellezza è diversa secondo la cultura in cui matura. Molto probabilmente saremmo delusi dall’aspetto di una scultura greca nella completezza della sua coloritura, ma solo perché abbiamo un diversa concezione di ciò che è bello, artistico, celebrativo, sacro. Una cosa è certa: per i greci le sculture dalle superfici marmoree o bronzee, senza la coloritura, erano brutte, come ci rivela Elena nell’omonima tragedia di Euripide: «Amari sono la mia vita e il mio destino, per colpa della mia bellezza. Oh potessi imbruttire di colpo, come una statua da cui vengano cancellati i colori, tanto che un brutto aspetto, invece del bello, assumerei!».
La pittura su manufatti artistici tridimensionali è un argomento cui mi sono dedicato in giovane età, leggendo testi classici e osservando la statuaria antica che presentasse ancora significative tracce di pigmenti. Come accennato sopra, sono profondamente convinto che il gusto degli antichi greci e degli antichi romani fosse molto diverso dal nostro, tanto che una scultura bianca, in marmo, o metallica, in bronzo, era ritenuta priva di attrattive. È anche ipotizzabile che, secondo le diverse scuole, i pittori dipingessero e decorassero in maniere diverse le statue in marmo e bronzo. Questo breve testo è corredato di alcune possibili ricostruzioni di modelli di ritratti statuari antichi trattati da pittori. La ricostruzione è stata da me ottenuta con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.