di Roberto Malini
Nel primo canto della Divina Commedia, dopo aver attraversato la selva oscura, Dante sbuca in una radura da cui scorge un colle che la luce divina rischiara, indicando il principio di un viaggio di conoscenza e redenzione. Quando inizia a salire verso la cima del colle, tre fiere gli sbarrano il passo: una lonza, una lupa e un leone. Sono creature simboliche che incarnano le disposizioni al male che tormentano l’anima umana, riflettendosi sull’intera società. Secondo i commentatori antichi, la lonza, felino dalla livrea fittamente maculata rappresenta la lussuria, il leone la superbia e la lupa la cupidigia. Sulla lonza, tuttavia, sono state espresse diverse ipotesi e ora la si è identificata in una lince, ora in un leopardo, ora in un ghepardo. È stata tuttavia trascurata la possibilità che la “lonza” della Commedia fosse in realtà un esemplare di leonessa “marozi”, un felino africano dal manto coperto di macchie scure, presumibilmente estinto nel 1930. Ai tempi di Dante il termine “lonza” o “leonza” definiva principalmente la femmina del leone, la leonessa. Un documento del 1285 ricorda una “leonzia” proveniente dall’Africa e tenuta in gabbia a Firenze nel serraglio dei leoni dietro Palazzo Vecchio (in quella che oggi si chiama, appunto, via dei Leoni), destando grande curiosità. È possibile, anche se siamo solo nell’àmbito delle teorie senza suffragio di prove, che si trattasse di un esemplare di “marozi”, presunta sottospecie di leone della cui esistenza abbiamo copiosa documentazione fino a quando, nel primo Novecento, è scomparsa. Alcuni zoologi sostengono che si trattasse di un ibrido leone-leopardo, dall’aspetto snello e scattante, ma il “marozi” era piuttosto diffuso in Uganda e Kenya e questo rende improbabile l’ipotesi che si trattasse di un a specie ibrida. In ogni caso, se davvero la fiera esposta a Firenze nel 1285 era una femmina di “marozi”, allora si potrebbe ipotizzare che il suo ricordo ancora fresco possa avere influenzato Dante quando scelse la “leonza” – una leonessa maculata – quale simbolo di un vizio capitale nel primo canto dell’Inferno. Riguardo alla presenza contemporanea di leone e leonessa nell’iconografia cristiana, vi sono diversi esempi di chiese del XIII secolo in cui le due fiere coesistono sullo stesso portale (a Pesaro, la città in cui vivo, leone e leonessa campeggiano sul portale della chiesa di Sant’Agostino (1258). Nell’accezione positiva, significavano rispettivamente coraggio e maternità. In quella negativa, superbia e lussuria. La presenza del maschio e della femmina del leone – proseguendo in questa riflessione – nel novero delle tre fiere incontrare dal Poeta nel primo canto della Commedia potrebbe essere connesso a un concetto teologico molto sentito nel cristianesimo medievale ovvero la “proliferazione del peccato”, secondo cui le inclinazioni del male non sono sterili, ma generano altro male.
Dipinto digitale di R. Malini