un progetto di Daniela Malini
Progetto “Siamo realisti!”: un lavoro nato in seguito all’incontro di una classe V del Liceo Artistico Klee Barabino con la letteratura realista. Accanto ai protagonisti del naturalismo francese come Gustave Flaubert ed Emile Zola, i ragazzi si sono soffermati su alcuni autori italiani tra cui Matilde Serao. Alcune pagine del reportage “Il ventre di Napoli”, sono apparse ai ragazzi quanto mai attuali. Si è pensato di proporre agli studenti di scrivere un reportage sulle contraddizioni della loro città o di un luogo, magari degradato, che conoscono. Ecco “Testana, paesino dimenticato”, un testo di di Davide Strada. Daniela Malini, docente e scrittrice
Testana, paesino dimenticato
di Davide Strada
Testana è uno di quei tanti posti di finta campagna, rovinato ormai da tempo dalle persone e dal comune. In passato, all’incirca mezzo secolo, fa era un luogo di lavoratori, gente umile e rispettabile. Il Paese, allora, era valorizzato: boschi puliti, fasce sopra le case dall’aspetto gradevole. Con la società in continuo fermento e gli affitti in continua crescita, le persone abituate alla vita di città si spostarono in cerca di altro. Testana, essendo un piccolo paesino su una collina a non troppi chilometri dal centro cittadino, era una opzione interessante.
Da poche centinaia di abitanti si arriva oggi a più di un migliaio di persone e si sta perdendo quell’atmosfera contraddistinta dalla tranquillità di campagna per lasciar spazio a un numero sempre più grande di automobili e palazzi. Dove c’erano fasce curate dai contadini, ora ci sono garage in cemento a vista, che di fatto non sono neanche usati per le auto, ma principalmente per accumulare cianfrusaglie. Nello specifico, pochi posti non sono stati toccati da questo degrado: l’ultima tratta in cima alla collina in Via Co’ di Serrò sembrerebbe tenere duro, probabilmente perché considerata scomoda. Forse è l’unico luogo che si possa ancora definire “campagnolo”, ma ormai i vecchi muoiono e inevitabilmente vengono sostituiti a generazioni nuove. Generazioni di radical chic che pensano al loro orticello “bio” sul terrazzo, dimenticandosi dell’enorme lavoro lasciato in eredità da chi veramente ha saputo cogliere il valore della terra in cui viveva.