Covid-19 in Perù, una realtà diversa da quella europea

di Steed Gamero

Pesaro, 30 maggio 2020. Il Perù è il secondo paese più colpito dalla pandemia di Covid-19 in Sudamerica, dopo il Brasile. A oggi i casi confermati, dopo il 75° giorno di quarantena, raggiungono i 148.285. In questo numero sono inclusi sia i guariti, che sono attualmente 62.791, che i 4230 deceduti a causa del virus.

Negli ultimi giorni i casi di contagio sono fortemente aumentati così come la preoccupazione degli abitanti, in apprensione per i nuovi casi giornalieri, che sono passati rapidamente dai 5000 ai 6500 di ieri.

Recentemente un servizio della BBC* ha spiegato in alcuni punti – riassunti qui di seguito – e in modo chiaro quali potrebbero essere i motivi per i quali in Perù sono in continuo aumento i numeri di casi di Covid-19, nonostante una lunga e pesante quarantena.

– Numero alto di test. A oggi in Perù, che ha quasi 32 milioni di abitanti, ne sono stati fatti 963.617. Un numero che lo rende una delle nazioni latinoamerine che ha realizzato più test. Più test, e di conseguenza più casi diagnosticati.

– Quarantena irregolare. Il 16 marzo scorso è partita la quarantena in Perù, che ha chiuso i propri confini a tutte le nazioni. In molte città è partito anche un rigoroso coprifuoco, durante il quale le persone potevano uscire di casa soltanto per necessità, come andare a fare la spesa o recarsi in farmacia. Nonostante queste misure, per gli abitanti è stato difficile rimanere a casa, perché non si è preso in considerazione il fatto che sull’intero territorio nazionale il 71% delle persone che lavorano lo fanno in modo informale e di conseguenza per la gente è stato indispensabile uscire di casa, per conseguire il proprio guadagno di sopravvivenza giornaliero.

– Assembramenti. Un dato importante riguarda curiosamente i frigoriferi nelle case. In Perù soltanto il 21,9% delle famiglie povere ha un frigorifero. Il resto delle famiglie che non ha questo elettrodomestico, non potendo conservare gli alimenti, deve recarsi ogni giorno presso i mercati. Per questo, da quando è partita la quarantena, la gente ha continuato a frequentare massivamente i mercati. E proprio in diversi mercati presso la capitale sono spuntati importanti focolai. Recentemente infatti, per mezzo di una serie di test sierologici, è stato rilevato che nel mercato di La Victoria (Lima) l’86% dei lavoratori in contatto con la clientela è risultato positivo al Covid-19, sempre in modo asintomatico. In questo delicato periodo è stato difficile per gli abitanti non creare assembramenti anche presso le banche, formando lunghe file per ritirare l’aiuto economico da parte dello stato, o persino nei mezzi di trasporto, sui quali finora per i passeggeri è stato molto arduo mantenere le distanze di sicurezza.

Nonostante sia stato prolungato lo stato di emergenza fino al 30 giugno, in questa settimana il governo si è dimostrato un po’ più flessibile e la gente esce con una certa frequenza di casa, sempre rispettando il nuovo orario del coprifuoco, che nella capitale inizia dalle nove di sera per finire alle quattro del mattino del giorno dopo; a differenza di altre regioni del paese, dove il coprifuoco scatta invece dalle sei di sera. In Perù da settimane si parla attualmente della necessità di convivere con il Covid-19. Per questo è obbligatorio uscire di casa con la mascherina.

Dalle numerose interviste di cui ho preso visione, si percepisce che i peruviani sentono molta frustrazione per quello che sta accadendo, soprattutto a causa dei numeri alti relativi ai casi di contagio, che al momento attuale non danno segni di calo. Ecco perché c’è ancora molta gente spaventata, che non vuole uscire di casa. Gran parte della popolazione, infatti, si focalizza soltanto sull’aumento dei casi giornalieri, senza tenere conto dell’alto numero dei guariti e di quello degli asintomatici, dati che virologi ed epidemiologi reputano rincuoranti. Molti peruviani hanno perso il lavoro. Scorrendo le rassegne stampa, si nota come i giornalisti non tuonino più come nella prima fase quando vedono gli ambulanti che si riprendono i loro angoli di strada. Al contrario, danno spazio alle loro voci quando affermano davanti a microfoni e telecamere il loro diritto al lavoro. Rimane comunque l’enorme frustrazione di molta gente che vive in estrema povertà e non vorrebbe uscire di casa, ma preferirebbe chiudersi nel guscio domestico, in sicurezza, come può permettersi la piccola élite rappresentata dalla classe media presente nella capitale.

Sono toccanti le parole di una donna intervistata** che confessa a una giornalista con una voce rotta che deve uscire per forza dalla sua abitazione, perché ha la necessità di guadagnare qualcosa in modo di portare cibo ai propri cari.

Forse se i casi iniziassero a diminuire, se avesse fine questo “plateau” apparentemente interminabile, i peruviani recupererebbero un po’ di serenità, come è avvenuto in Italia e nel resto di Europa. Senza il timore di essere contagiati. Senza essere spaventati dai dati giornalieri che si presentano ogni giorno in tv, come accadeva qui in Italia, producendo la stessa angoscia che adesso tocca al Perù sopportare. Per il momento questa è la realtà che ho constatato in Perù, sicuramente molto diversa da quella attuale in Europa, dove si assiste a una progressiva ripresa delle attività e si guarda al futuro con ottimismo.

*https://www.youtube.com/watch?v=hBXMhuGqcAg

**https://www.youtube.com/watch?v=8WrP61gWql0

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