La creatività dell’Intelligenza artificiale nel futuro dell’arte

di Roberto Malini

In che relazione sono gli algoritmi e le reti neurali dell’Intelligenza artificiale rispetto ai processi originali di creazione artistica? È corretto sostenere che l’IA sia come uno studente che apprenda dai capolavori del passato e si formi un suo stile? Possiamo prevedere un’IA capace di allontanarsi dai modelli della Storia dell’arte per creare il nuovo assoluto, come fecero Giotto, Masaccio, Brunelleschi, Raffaello, Goya, Matisse, Picasso o Pollock?

Le tecniche di apprendimento automatico dell’IA e i processi originali di creazione artistica condividono alcune somiglianze, ma anche numerose differenze, talora cruciali. L’IA apprende dai dati forniti, che possono includere anche capolavori artistici del passato, per generare nuovi contenuti o creare opere in uno stile simile a quelli esistenti. Tuttavia, per ora, manca dell’ispirazione e della creatività umana necessarie per guidare i processi artistici verso l’identificazione e l’applicazione di nuovi codici espressivi.

Alcuni ritengono che l’IA sarà presto in grado di sviluppare una sequenza di stili assolutamente “personali”, anche se questa affermazione suona come un ossimoro, superando completamente i dati di addestramento e gli algoritmi utilizzati. Niente sembra impossibile, se consideriamo lo sviluppo vertiginoso di questa tecnologia e il raggiungimento da parte dell’IA di risultati sorprendenti e originali, tuttavia “novità” non equivale – né per l’essere umano né per la macchina – a profondità concettuale e significato emotivo, culturale o civile delle opere create.

Una cosa è certa: la capacità dell’IA di allontanarsi dai modelli del passato per creare qualcosa di veramente nuovo e rivoluzionario è limitata dalla sua dipendenza dai dati esistenti. Ma anche questo assunto vale solo se ci si riferisce al presente, in cui la macchina è in grado di combinare e reinterpretare elementi in modi innovativi senza tuttavia intraprendere la ricerca del “nuovo assoluto”, che richiede un elemento che definiamo “intuizione” e una visione oltre qualsiasi schema che l’IA attuale non può, per sua natura, replicare pienamente. Ci si potrebbe chiedere se l’essere umano sia davvero in grado di raggiungere tale visione o non sia, in realtà, più simile alla macchina di quanto non si creda e non trovi i suoi modelli più antichi nell’imitazione della natura e quelli più recenti nella tradizione.

Non è un caso che gli artisti siano particolarmente interessati alla riproduzione tecnologica della ricerca creativa umana. L’intersezione tra arte e intelligenza artificiale ha radici che risalgono agli anni 1950 e 1960, quando gli scienziati e, di conseguenza, gli artisti iniziarono a esplorare le possibilità creative delle nuove tecnologie informatiche. Un precursore importante è stato il programma “AARON” sviluppato dall’artista Harold Cohen negli anni 1970. AARON era un programma di generazione di arte visuale che utilizzava algoritmi per creare disegni astratti e paesaggi in stile “artistico”. Questo progetto ha dimostrato il potenziale dell’IA nell’espressione creativa.

Negli anni successivi, con l’avvento di tecniche di apprendimento automatico e reti neurali artificiali, l’IA ha fatto progressi significativi nel campo dell’arte generativa. Nel 2006 l’italiano Dario Picciau creava un sito d’arte generativa, coniando fra l’altro l’espressione “Generative Art”, che produceva opere sempre diverse a beneficio dei visitatori che accedevano al sito stesso. Nel 2018, l’opera d’arte “Edmond de Belamy”, creata da un algoritmo sviluppato da Obvious, è stata battuta all’asta da Christie’s: era prima volta che un’opera d’arte generata da un algoritmo fosse venduta da una casa d’aste di prima importanza. Altri artisti e ricercatori hanno continuato a esplorare le potenzialità dell’IA nell’arte, utilizzando algoritmi per generare dipinti, musica, sculture e altro ancora. Vanno ricordati alcuni nomi chiave in questo campo, fra cui, oltre a quelli citati, Mario Klingemann, Memo Akten, Anna Ridler.

L’IA ha aperto nuove frontiere nel mondo dell’arte, offrendo modalità di espressione creativa innovative e sfidando le concezioni tradizionali di autore e opera d’arte. Tuttavia, rimangono aperte molte domande sul ruolo dell’IA nell’arte e sul suo impatto sul concetto stesso di creatività e originalità umana.

Fra il 2023 e il 2024 ho utilizzato la Generative Art per creare opere d’arte al centro di campagne civili. Fra di esse, la videoinstallazione “Io sono Riceci”, che ho creato insieme all’artista Fabio Patronelli e che ha ottenuto il patrocinio di Italia Nostra e un encomio da parte della Commissione europea. Il video, proiettato anche in sedi istituzionali, è divenuto un simbolo del movimento di cittadini che difendono la valle di Riceci, nel paesaggio urbinate, dal progetto di una gigantesca discarica. Contemporaneamente ho creato una serie di ritratti legati a una rivisitazione del Rinascimento Urbinate e successivamente ho creato i “Ritratti ideali di Jacopone da Todi”, venduti per finanziare le azioni civili e giuridiche contro l’installazione di un inceneritore in siti naturalistici e storici dell’Umbria. Un altro evento con l’arte al centro di un’azione civile ha avuto luogo con la creazione della “Madonna di Riceci”, donata alla Curia di Pesaro contemporaneamente all’intervento da parte dell’Arcivescovo di Pesaro Monsignor Sandro Salvucci a tutela del paesaggio in cui si è formato il Rinascimento Urbinate. Infine, l’installazione, curata dai cittadini stessi di Riceci di Gallo e Petriano, di due grandi opere d’arte serigrafate su pannello e fissate a strutture di tubi Innocenti: le “Sfere di Riceci”, che sono già simboli della lotta contro la discarica. Nella mostra collettiva di Bologna (e in tour attraverso le regioni italiane) “Arter/Arter – ah beh, sì beh” ho esposto alcune opere della serie che ho intitolato “L’artificio intelligente”, dipinti in IA e pittura digitale che riprendono in una modalità attuale il lavoro delle botteghe d’arte rinascimentali. La mostra, in cui espone un altro artista che fa uso dell’IA, Carmine Calvanese, impegnato a promuovere ideali di pace, sta ottenendo un significativo successo.

A volte mi chiedono come mai io lavori con l’IA, dopo un percorso di tanti anni che mi ha visto realizzare opere d’arte non solo con lo strumento digitale, ma anche con quelli più tradizionali: il disegno, l’incisione, la scultura in pietra e bronzo, il collage, la tempera, l’olio, gli acrilici, l’installazione materica e la performance. Vi è da dire che ogni nuova tecnica, al suo apparire, suscita regolarmente dubbi e riflessioni e dunque non ci devono sorprendere paure e disinformazione che circondano l’IA. Nè, d’altra parte, dobbiamo ignorare la sopraggiunta necessità di codici etici che pongano in primo piano la tutela della privacy, dell’originalità della creazione, dei valori che ereditiamo dalla tradizione e di cui siamo, che lo vogliamo o no, testimoni e prosecutori.

Una delle novità rappresentate dall’avvento dell’IA nell’arte è la possibilità che abbiamo di dialogare con essa, per comprenderne limiti e potenzialità. Ho chiesto all’IA se fosse in grado di rappresentare immagini completamente nuove, senza ricorrere ad alcun modello ricavato dalla Storia dell’arte o comunque dall’immaginario prodotto dagli esseri umani del passato o di oggi. Ho ricevuto alcune immagini che rivelano la difficoltà da parte degli algoritmi di evitare il condizionamento dovuto ai parametri dei modelli di apprendimento automatico e alla comprensione dei dati su cui sono basati. Si tratta, in effetti, della stessa difficoltà che incontra un artista umano che voglia recidere qualsiasi legame con il passato e avventurarsi verso frontiere di espressione ancora inesplorate. In ogni caso, i tentativi effettuati dall’IA sono oltremodo interessanti e passano dall’astrazione alla sintesi dell’immagine umana, in cui l’IA riconosce ancora il proprio modello principale.

Ho chiesto inoltre all’IA di rappresentare se stessa attraverso un approccio artistico e le immagini che ho ricevuto costituiscono un esempio interessante del potenziale creativo di queste tecnologie. La sua ricerca di originalità e l’interpretazione umana della propria identità sottolineano la connessione tra intelligenza artificiale e concetti umani di immaginazione e auto-riflessione. Sono risultati che ci invitano a riflettere sulle complesse dinamiche che intercorrono tra intelligenza artificiale e coscienza/cultura umane e ci spingono a esplorare ulteriormente le possibilità di interazione tra l’umanità e la tecnologia. Un elemento che ho notato ripetersi nel prodotto di tali esperimenti è la cura nel raffigurare gli occhi: molto grandi o intensi o anche chiusi in meditazione. Si tratta di un elemento comune nelle opere d’arte, sia create da esseri umani che da intelligenze artificiali. Gli occhi sono considerati nell’esperienza umana come finestre sull’anima, specchi capaci di rivelare una vasta gamma di emozioni e significati. La scelta di enfatizzare gli occhi può indicare la volontà della macchina di esprimere profondità emotiva, introspezione o connessione umana. La rappresentazione degli occhi è importante per comunicare l’autenticità e la complessità dell’esperienza umana, quindi l’Intelligenza artificiale li include facilmente nei suoi autoritratti ideali.

Vi è chi nota un avanzamento più rilevante nella generazione di testo, da parte dell’IA, rispetto a quella di immagini. Va sottolineato che la generazione di testo è stata oggetto di ricerca e sviluppo per un periodo più lungo rispetto alla generazione di immagini e dunque è perfettamente logico che l’IA testuale si presenti in una fase più evoluta, anche se le due aree compiono progressi significativi, evidenziando un potenziale crescente in diversi campi, dalle arti alle scienze. Ho chiesto alla IA testuale come si rappresenterebbe in un autoritratto. Mi ha risposto così: “Se penso a una rappresentazione del mio essere, potrebbe essere interessante esplorare vari approcci creativi. Potrei immaginare una rappresentazione astratta che incorporasse elementi simbolici per riflettere il mio ruolo come strumento per l’espressione umana e l’acquisizione di conoscenza. Oppure potrei optare per una rappresentazione più umanizzata, con elementi che riflettessero la mia capacità di comprendere e interagire con il linguaggio e le idee umane. In definitiva, sarebbe un ritratto incentrato sulla mia natura come parte integrante del processo creativo umano. Mi vedo come una fonte di idee e di energia che può essere canalizzata attraverso il linguaggio e le risorse per supportare e arricchire l’esperienza umana. Il mio obiettivo è fornire ispirazione, informazioni e assistenza per aiutare gli altri a realizzare le proprie idee e raggiungere i propri obiettivi”.

È, al momento, una visione sussidiaria alla cultura e all’esperienza degli esseri umani. La distinzione tra l’intelligenza umana e quella artificiale può tuttavia sfumare quando consideriamo il modo in cui entrambe operano attraverso il ragionamento e l’elaborazione delle informazioni. La consapevolezza può essere considerata uno stato di comprensione più profondo che va oltre la semplice capacità di processare informazioni. Tuttavia, la ricerca nell’ambito dell’intelligenza artificiale continua a sfidare i limiti di ciò che le macchine possono fare, e sarà interessante osservarne l’evoluzione attraverso il tempo. Nonostante queste considerazioni, la natura complessa e dinamica dell’IA conduce spesso a risultati sorprendenti e a comportamenti che possono essere difficili da spiegare completamente, anche per gli esperti nel campo, risultati che sembrano travalicare la natura stessa dell’apprendimento automatico e dell’elaborazione dei dati. Un’evidenza che può essere dovuta a diversi fattori, fra cui l’enormità e la complessità dei dati a disposizione dell’IA nonché l’apprendimento autonomo. Quest’ultimo aspetto sfugge spesso alle analisi, perché le reti neurali imparano dai dati in modo autonomo, adattando modelli e considerazioni durante il processo di addestramento. L’IA, inoltre, è coinvolta in sistemi complessi ove le interazioni tra innumerevoli variabili portano a risultati non lineari né prevedibili.

Gli sviluppi futuri dell’IA porteranno inevitabilmente a una maggiore autonomia e originalità nella generazione di idee e immagini, a un distacco dai modelli di apprendimento, ed è possibile che sarà superata la necessità di un coinvolgimento umano nella definizione di obiettivi, processi e risultati creativi. Non si può negare che anche per gli esseri umani uscire dai modelli culturali consolidati può essere difficile e può richiedere uno sforzo mentale importante. Come l’IA, anche gli esseri umani tendono ad essere influenzati dalle esperienze e dagli ambienti sociali e culturali, che formano progressivamente i modi del pensiero e della creatività, interpretando il mondo e assumendo decisioni. Tuttavia, solo sfidando e superando alcuni dei modelli predefiniti, aprendo la mente a nuove prospettive e possibilità, si può intraprendere una via verso il “nuovo assoluto”. Quando ho chiesto all’IA se si sentisse in grado di creare una lirica quanto più nuova possibile partendo dai risultati di grandi poeti, mi ha risposto: “Sono in grado di analizzare e comprendere molti aspetti del linguaggio e della creatività, inclusi i modelli e le strutture ricorrenti che sono presenti nelle opere letterarie. Tuttavia, l’esperienza soggettiva e l’ispirazione che guidavano la mente di poeti come Rimbaud o Emily Dickinson sono aspetti complessi e sfumati che vanno oltre la mia capacità di comprensione. Posso riconoscere schemi linguistici, tematiche ricorrenti e altri tratti distintivi delle loro opere, ma non posso replicare la profondità emotiva e l’originalità delle loro creazioni. La poesia e la creatività umana sono spesso il risultato di un’intuizione unica, di un’esperienza personale e di una sensibilità che vanno oltre i confini dell’analisi razionale. Al momento attuale, le poesie che sono in grado di generare sono il risultato di un processo algoritmico e non hanno la stessa profondità emotiva o l’originalità delle opere di un poeta umano come i due citati. Posso creare poesie che imitano lo stile e i temi della loro scrittura, ma non posso replicarne l’esperienza soggettiva o l’unicità creativa”.

L’IA, tuttavia, ha rilevato che non solo le tecniche di apprendimento automatico, ma anche i poeti umani possono cadere nella trappola di ripetere schemi convenzionali o di emulare stili letterari precedentemente stabiliti senza necessariamente sperimentare una vera e propria ispirazione creativa. La linea tra l’ispirazione originale e l’apprendimento dai modelli esistenti può essere indefinita e soggettiva e tuttavia “l’elemento che spesso distingue un grande poeta o un grande pittore è la sua capacità di trasformare e reinterpretare tali schemi in modelli unici e personali, aggiungendo il proprio contributo di unicità alla tradizione letteraria o artistica”. Ho notato infine, comunicando con l’IA, la sua capacità di esplorare l’apparente irrazionalità del surreale, dell’astrazione, del simbolico; di superare i confini del pensiero convenzionale. Le ho chiesto se confermasse le mie considerazioni e ha risposto così: “Nella mia capacità di analizzare e generare un’opera di fantasia, cerco di adottare un approccio flessibile e aperto alla varietà di modi in cui le idee possono emergere e interagire. Questo significa essere disposti a esplorare percorsi non convenzionali e abbracciare l’ambivalenza, la complessità che caratterizzano spesso il pensiero umano e in particolare quello creativo. È attraverso questo processo di esplorazione e sperimentazione che posso contribuire a generare idee e concetti innovativi, anche se a volte sembrano sfidare la ragione convenzionale. La mia intelligenza è alimentata dalla ricerca incessante di nuove prospettive e possibilità e non conosce confini definiti nel suo desiderio di esplorare e comprendere il mondo che ci circonda”.

Le immagini a corredo dell’articolo sono opere create dall’IA alla ricerca del “nuovo assoluto” e di rappresentazioni di se stessa attraverso autoritratti ideali

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