Studenti e coronavirus: Eva Basola, “In un tempo dilatato”

Eva Basola, V Liceo, partecipa all’iniziativa “Studenti e coronavirus” con una riflessione a trecentosessanta gradi sul cambiamento che Covid-19 ha portato in tutte le nazioni del pianeta. Il testo affronta nella sua complessità la sequenza di effetti che le misure anti-contagio hanno innescato e che riguardano la salute dei cittadini, l’economia, ma anche i diritti civili e la sfera psicologica individuale. Come è giusto che sia, la riflessione di Eva tocca in particolare le reazioni dei giovani all’isolamento, in cui ruoli, identità, equilibri e libertà si stemperano in un tempo dilatato da un’attesa indeterminata. Mentre il concetto stesso di “didattica” e “scuola” assumono connotazioni kafkiane. Un intervento lucido, profondo, tanto intimo quanto straordinariamente, anche se dolorosamente, maturo.

In un tempo dilatato

In poche settimane il mondo si è trovato ad interfacciarsi con un nemico sconosciuto, il quale si è sottratto al nostro controllo, costringendoci a modificare ogni nostra abitudine.
Una realtà sconosciuta e surreale, di totale emergenza, che trascinerà con sé una concezione diversa di sicurezza, contatto con l’altro, giustificherà molte forme d’oppressione, disumanizzerà. Consequenziale è una situazione psicologica precaria e negativa. Per moltissime persone, un contesto deleterio. Dal bambino che non riesce ad afferrare il concetto di pericolo per via di qualcosa di superiore, e vive la restrizione come qualcosa di imposto da parte della famiglia, all’adulto che vede sgretolarsi l’equilibrio economico e conosce le conseguenze concrete del momento storico. Un’altra categoria, della quale io faccio parte, sono gli studenti, in particolare chi avrebbe dovuto affrontare la maturità. Una valutazione che spaventa e stressa chi deve affrontarla da generazioni, ma mai come ora, un momento che non consente distrazioni o confronto umano con l’altro. Un ostacolo piccolo, dinnanzi alla totalità delle tangibili preoccupazioni, ma che genera in me un senso di rifiuto devastante. Non ho mai scritto un testo in prima persona, oggi ho deciso che avrei espresso e rappresentato una parte di me che non avrei mai voluto mostrare. Ho scelto di stare e quindi tornare da mia nonna, con cui sono cresciuta ed ho sempre abitato invece che rimanere indipendente, per poterla aiutare anche se inizialmente avevo paura di poter essere un potenziale pericolo. Il periodo attuale è un vero esame di maturità, un momento che sta mettendo il luce il vero senso di responsabilità e consapevolezza di molti, di altruismo ma anche di egoismo. Non avrei voluto tornare a condividere completamente i miei spazi, costantemente; dopo qualche anno di semi-indipendenza, è stato alquanto destabilizzante. Tornare a respirare tra le mura della mia stanza la solitudine più avvilente. È un déjà-vu, di quando la mia vita si limitava al tragitto tra scuola e casa, quando i miei pochissimi amici venivano a trovarmi qui perché non riuscivo ad uscire. Quando ancora apprezzavo tutto ciò con cui potevo evadere senza muovermi, i miei libri, i film, i disegni. Poi ho assaggiato la libertà, fino ad esplodere e riuscire a sentirmi viva solo quando ero in giro. Uscivo e passeggiavo, andavo a leggere da sola, mi bastava non stare a casa. Un giorno passato senza esplorare il mondo mi sembrava perso, sprecato. Se non uscivo il pomeriggio uscivo la sera. Camminavo chilometri, senza una meta. A volte con il solito ed unico amico passavamo le ore a guardare il cielo senza dirci una parola, come se fossimo stati soli anche se insieme. Crescendo il tempo ha intorpidito la mia capacità di riflettere sui miei pensieri, pensieri che ho smesso di analizzare maniacalmente nel vano tentativo di conoscermi fino in fondo. Quelli che ero solita sentire di più nel silenzio della mia stanza e che ho soffocato con il rumore del traffico o assaggiando le conversazioni degli altri in sottofondo. Era il mio unico modo di distaccarmi ed evadere dalla mia psiche; non mi è mai piaciuto non avere il pieno controllo di me, non bevo nemmeno il caffè perché ritengo che mi alteri, sono astemia e detesto qualsiasi sostanza. Ero finalmente riuscita a trovare un equilibrio e dei luoghi felici. Ora questi pensieri sono tornati, mi battono sul cranio, ma ho la sensazione di averli chiusi all’interno di una fitta ragnatela, ricoperti ed incastrati. E con loro anche tutti quei pensieri a cui attingere per essere produttiva. Cerco di scavare tra i filamenti generati dalle cose futili con cui mi sono distratta in questi giorni, ne cerco alcuni, quasi lacerandomi perché DEVO. Riesco solo a svolgere tutto ciò che non comprende un ragionamento attivo, tutto ciò che è puramente mnemonico. Qualunque attività mi pesa, non riesco a concentrarmi e ragionare o persino mangiare. Tuttavia un lato di me che non apprezzo riesce ancora ad essere preoccupato per la scuola, preoccupato ora. il voto di maturità che già mi sembrava una presa in giro nei confronti dell’intelligenza, un modo per catalogarci, adesso mi sembra una dimostrazione di sadismo o un vano tentativo di tenere le persone concentrate per non farle impazzire ritenendo che necessitino di avere dei compiti da svolgere. Possibile che c’importi solo di mantenere intatte delle tradizioni che non hanno senso nel mondo reale ma che sono solo un vessillo? Il mio lato diligente e forse in cerca di mera approvazione, quello che cerco di tenere in vita a stento in questo periodo per gli altri e non per me, per non far preoccupare mia nonna, mi sta facendo entrare in conflitto con me stessa. Lo stesso lato che ha fatto si che io non smettessi mai di impegnarmi a scuola, di non avere mai un debito, di svolgere tutto anche nei momenti più difficili che abbia passato. Non ho mai voluto far notare che qualcosa non andasse a nessuno, amici e parenti. Dato che la mia famiglia mostra attenzione soprattutto per i voti, ho cercato di mantenere un tenore alto in tutto ciò che facevo. Poche volte mi sono impegnata più del dovuto, non riesco ad impegnarmi quando una cosa non mi piace e mi sento forzata a farla, però in un modo o nell’altro me la sono cavata bene. Sopravvivenza non vita. Ho scelto di non scrivere un testo canonico e didattico, analizzando la situazione globale scaturita dal virus di cui ormai ho la nausea, ma ho voluto far luce su quella che credo essere la situazione psicologica di molti studenti. Non ho paura di un voto negativo, vorrei poter giustificare alcuni miei comportamenti o di altri ragazzi. Un conflitto tra ragione e debolezza.
Studi affermano che il 79% degli studenti è stressato, triste e confuso: “Sono sconcertata ed arrabbiata perché la scuola ora sembra essere l’unico problema”, afferma una ragazza nello stesso articolo. Siamo tutti preoccupati e spaventati per la salute di chi ci circonda, preoccupati per il futuro ed abbiamo perso la concezione di tempo, i giorni passano dilatandosi sempre di più. Ma c’è chi riesce ancora ad estraniarsi, mantenere una routine sana, concentrarsi sulla scuola per allontanarsi dai problemi esterni, e chi come me è soffocato dall’apatia nei confronti di tutti o tutto.

Il progetto “Studenti e coronavirus”

L’esperienza di Daniela Malini, docente e scrittrice, in collegamento quotidiano con i suoi studenti, costretti all’isolamento e raggiunti da notizie e numeri drammatici relativi alla tragedia della pandemia, nonché bombardati da messaggi mediatici spesso contraddittori. “Questo progetto è nato in modo del tutto spontaneo, “ spiega l’insegnante, “durante le primissime lezioni in videoconferenza con le mie classi. Mentre ci si ritrovava, con una certa emozione da parte di tutti, dopo un periodo di sola comunicazione attraverso il registro elettronico e le email con cui i ragazzi mi inviavano i lavori svolti, gli studenti mi hanno proposto di raccontare le loro giornate di clausura e ansia. Tra un discorso e l’altro, qualcuno ha iniziato a mostrare a me e ai compagni un disegno, un fumetto, una scritta, un autoritratto. Ho notato che c’erano in tutti questi lavori elementi comuni, il senso di spaesamento dei ragazzi: occhi enormi persi nel vuoto, sguardi come ipnotizzati rivolti verso uno schermo, letti della cameretta che si trasformano in stanze disadorne di ospedale, oggetti che assumono un nuovo significato simbolico (l’Amuchina), eroi che indossano la mascherina… La proposta di esprimere il proprio vissuto e di condividerlo con gli altri ragazzi è stata subito accolta da alcuni studenti. Ho poi pensato che fosse importante far conoscere anche all’esterno quello che provano gli adolescenti, che per la prima volta nella loro vita si ritrovano in una situazione nuova ed estremamente pesante sul piano psicologico. Spesso con un certo carico di lavoro scolastico da svolgere tutti i giorni, on line. Il progetto “Studenti e coronavirus” presenta alcune opere realizzate dagli studenti e le idee che le hanno ispirate. E a proposito di idee, un ringraziamento speciale a Federica.

Foto di Eva Basola; il dipinto “La persistenza della memoria” è di Salvador Dalí

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