Franco Masini ha vinto il Premio Internazionale di Poesia “Vita via est”

Genova, 7 ottobre 2018. Con la poesia Per l’amor di Benedò l’autore genovese Franco Masini ha vinto il Premio Internazionale di Poesia “Vita via est” 2018, dedicato alla memo­ria del professor An­tonio De Francesco, per la sezione Poesia inedita in lingua italiana. Giunto alla seconda edizione, il concorso letterario ha visto la partecipazione di autori provenienti da tutte le regioni d’Italia.
La giuria del Premio, organizzato dall’Associazione Culturale Centro d’Arte e Poesia “Luigi Bulla” di Carlentini (SR), con il patrocinio del Comune di Giarre (Catania), presi­eduta dal vicepresid­ente dell’associazi­one culturale Carlen­tinese Alessandro Gi­ovanni Bulla, è compo­sta dal Professor Ni­cola Stifano, dalla Dottoressa Flavia Cos­entino, dalla Dottor­essa Ketty Settineri e dalla Professores­sa Giovanna Raeli. La cerimonia di premiazione si terrà venerdì 19 ottobre 2018 dalle ore 17 presso il prestigioso Salone degli Specchi del Palazzo di Città, sede del Comune di Giarre, e sarà accompagnata da momenti musicali af­fidati alla splendida voce del mezzosopr­ano Alessandra Racit­i. I poeti vincito­ri saranno premiati dal presidente Luigi Bu­lla e dal Sindaco de­lla Città di Giarre Angelo D’Anna.

Per l’amor di Benedò
(grazie al quale ognun passò)

Ricordi amari e amenità 
di un’acerbissima maturità.

Non ho fatto gran carriera,
la pagella è nera nera,
mi distanzio (che imprudenza!)
molto dalla sufficienza;
però, in barba alla pressione
dell’avversa condizione
all’esame arriverò
grazie al cuor di Benedò.

Nella lingua non son forte,
come avrò una buona sorte?
Parlo male e scrivo peggio,
la sintassi mal maneggio,
mentre nell’ortografia
ogni norma spazzo via.

Prospettiva proprio grama
offre un tale panorama;
prospettiva molto dura,
non però da aver paura:
sì, all’esame arriverò
grazie al cuor di Benedò.

L’aritmetica, d’altronde,
grandemente mi confonde;
l’aritmetica, davvero,
è per me un gran buco nero. 
Sulle ascisse e le ordinate
so sparar grandi cazzate;
il comune divisore
percepisco con terrore;
sulle rette parallele
stringo i denti e ingoio fiele.

Quadro assai triste, lo so;
ne son conscio, sì, però
non pensate che il diploma
sfumi via con la sua soma
della mia somareria,
la più eccelsa che ci sia.

A ogni male c’è rimedio:
uscirò da questo assedio
e all’ orale arriverò
grazie al cuor di Benedò.

 Se lo scritto mi tradisce
c’è l’oral, che mi rapisce
in un vortice di vuoto
che propende verso un voto
che, leggero come piuma,
sale, sale, nella bruma,
cresce, cresce su se stesso
fino a perdere ogni nesso
con la solida realtà.

Pur se misero è il mio eloquio,
me la cavo nel colloquio,
perché nella Commissione
ho un sostegno d’eccezione
(proprio d’eccezione, no: 
non è solo, Benedò!).

Le parole non son pietre,
son piuttosto vesti tetre
vesti come d’Arlecchino,
che nascondono un inchino
fatto, non si sa perché,
tra il colloquio ed il caffè.

Spingi, spingi, arranca arranca,
d’aiutare non si stanca;
con un voto, immantinente,
trae dal nulla un “sufficiente
che, in virtù del suo perdono,
presto si trasforma in “buono”.

Ecco, in men che non si dica,
terminata è la fatica;
ma sparisca quella pecca
(suonerebbe come stecca
in quell’armonia divina
realizzata stamattina!).

Alle fulgide carriere
non s’ oppongon più barriere;
con un poco di fortuna
io, colmando ogni lacuna,
fino al Nobel giungerò
grazie al cuor di Benedò.

Grande, grande è questo cuore,
distribuisce con amore
e offre a tutti, con gran cura,
per combatter la calura,
del gelato a profusione
che esce dal suo pentolone.
Certo, buona è l’intenzione,
e apprezzabile l’azione;
non è ancora qui, però,
il prodigio Benedò.

Di continuo, tale e quale,
e in misura sempre uguale,
fuoriesce quella manna
come fosse della panna,
senza mai diminuire,
senza il rischio di finire:
è un processo senza nodi,
è il paese di Bengodi;
qui ciascuno beve e magna:
è il paese di Cuccagna!

Lui ogni tanto si analizza,
la bontà lui la teorizza:
“Eh no, i prof. non son gentili,
se agli alunni sono ostili.

 Certo è un uomo senza cuore,
che non sa cos’è l’amore,
chi mi guasta questa festa,
trasformando in gente mesta
una turba di beati
gai, felici e fortunati.

Proprio gente senza cuore,
che non sa cos’è l’amore!”.

Però forse lui si sente,
assai generosamente,
di attenuar l’affermazione,
per fuggir la presunzione:
questa gente è sì in errore,
ma non proprio senza cuore.

Proprio senza cuore, no:
senza il cuor di Benedò!                                      

Franco Masini

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